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10 modi in cui i social network stanno distruggendo la società

cattiveria

I social network sono considerati una delle più grandi evoluzioni tecnologiche e sociali dell’ultimo secolo: al pari di elettricità ed automobile, stanno rivoluzionando il modo di fare ed il comportamento di miliardi di persone. Il problema è che non tutti sono d’accordo sul fatto che i cambiamenti portati dalla diffusione massiccia dei social network siano solo positivi, anzi qualcuno li accusa di stare distruggendo la società. Un’immagine forse eccessiva ma a ben vedere non priva di fondamento. Ecco 10 modi in cui i social network starebbero “distruggendo la società”. E se è vero che le critiche a qualcuno possono apparire eccessivamente severe, indubbiamente si tratta di temi su cui è opportuno riflettere.


1. Incoraggiano e celebrano l’auto-referenzialità

Il proprio profilo è auto-referenziale per definizione: l’obiettivo di molti, sui social network, è quello di mostrarsi, non di comunicare. I selfie sono l’esempio più ovvio di auto-referenzialità: il “dover farsi vedere” è forse uno dei “must” più diffusi tra la generazione facebook. In realtà i selfie nascondono, secondo alcuni studi, una grossa insicurezza personale che si cerca di compensare a colpi di like, che spesso si cerca di conquistare presentandosi in modo “arrogante”. In genere senza successo: è dimostrato che in realtà le altre persone apprezzano i vostri selfie molto meno di voi, e l’immagine date di voi, e che magari pensate “perfetta”, può spesso apparire ridicola agli altri.

2. Non sono più uno strumento di comunicazione interpersonale

Nella storia recente, molti social network sono nati, cresciuti e poi collassati su se stessi (basti guardare alla storia di MySpace). Il fatto è che i social network funzionano bene finché sono piccoli: gruppi di persone con interessi comuni possono usare lo strumento per scambiarsi esperienze ed opinioni. Man mano che il social network cresce, però, la comunicazione “vera” diventa sempre più difficile, perché il numero di relazioni che è in grado di mantenere una persona è limitato. A questo si aggiunge anche il fatto che aumenta il rumore di fondo (lo spam, e la pubblicità), ma anche i messaggi di gente che fa parte del vostro network ma a cui non siete veramente interessati. Come approssimazione, il momento in cui dovete aggiungere tra gli “amici” qualcuno con cui non vorreste parlare ma non potete “negarli l’amicizia” (perché è un parente, un collega, il vostro capo, ecc.) è il momento in cui il social network sta smettendo di funzionare come strumento di comunicazione.

3. Distorcono la nostra idea di interazione umana

La comunicazione tramite i social network non riproduce in modo fedele l’interazione umana, al contrario di quello che probabilmente molti credono. Uno degli elementi cardine di un dialogo, ed in generale di una comunicazione bidirezionale, sono i feedback da parte della controparte. E infatti la capacità di comunicare è molto legata alla cosiddetta intelligenza emotiva, cioè la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. Non dovrebbe essere necessario ricordare che la capacità di comunicare è fondamentale nelle relazioni interpersonali (dal lavoro alla vita di coppia).

I social network non forniscono dei feedback (se pensate ai “like” e ai commenti come feedback comunicativi, forse la vostra vita sociale è già rovinata…), e quindi non aiutano a sviluppare l’intelligenza emotiva ma invece la atrofizzano. E’ uno dei motivi per cui sui social network si scrivono cose che non si direbbero mai di persona: non è l’anonimato (ricerche recenti dimostrano che anche togliendo l’anonimato, la maggior parte dei troll rimane tale), ma la mancanza di feedback di comunicazione.

4. Danno la falsa illusione che le nostre opinioni contino qualcosa

Tutti possono scrivere quello che vogliono sui social network. Ma il fatto che tutto possa essere detto, non vuol dire che tutto debba essere detto. Esprimere opinioni su temi ed argomenti su cui non si ha nessuna conoscenza ed esperienza non è un merito: eppure è la quotidianità sui social network. L’affermazione più fuori luogo o strampalata può spesso dare soddisfazione all’autore, magari grazie ad un “like “ o semplicemente per il numero di visualizzazioni (che peraltro in realtà non sono in alcun modo un indicatore del fatto che chi ha letto quella certa cosa la approvi). L’effetto collaterale è che, anche se non sappiamo di cosa parliamo, è facile convincersi che la nostra sia un’opionine rispettabile.

5. Favoriscono gli estremismi

Guardando alla scena politica e sociale, sono in molti ad avere l’impressione che negli ultimi anni siano cresciuti gli estremismi. Ci sono ovviamente diverse ragioni sociali alla base di questo, ma anche i social network li avrebbero favoriti in diversi modi, dal punto di vista innanzi tutto psicologico. Chi ha posizioni estremistiche trova facilmente qualcun altro che gli dia ragione: cose che prima, dette in mezzo a gente reale, avrebbero fatto passare per idioti permettono di guadaganre “like” (anche perché non c’è il pulsante “hai detto una stro**ata”) e quindi incoraggiano ancora di più l’estremista, autorizzandolo ad insistere e radicalizzarsi ancora di più. Tanto più che in generale è dimostrato che la ricerca di informazioni è raramente mirata a comprendere la realtà dei fatti, ma piuttosto a trovare conferma alle proprie idee (a prescidere anche dal fatto che tali conferme siano date da informaizoni corrette o meno). Inoltre i social network favoriscono l’espressione di idee politiche tramite “meme”, che comportano una semplificazione assoluta di fatti anche molto complessi, e la semplificazione è alla base degli estremismi (dato che estremismo di fatto vuol dire fare di ogni erba un fascio).

6. Stanno danneggiando la padronanza della lingua

Per scrivere sui social network si ricorre ad abbreviazioni e “sgrammaticature”. Alcuni dati appaiono preoccupanti: negli USA, il punteggio relativo alla capacità di comprensione e lettura critica registrato nei test attitudinali SAT, dopo un lungo periodo in cui erano rimasti sostanzialmente costanti, è andato via via scendendo dal 2010 in poi. Secondo qualcuno, questo sarebbe da collegare alla diffusione nell’uso dei social network, con le nuove generazioni meno abituate non solo alla comunicazione in interpersonale (come abbiamo visto in precendenza), ma anche alla scrittura in generale e alla comprensione di testi .

7. Stanno riducendo la soglia di attenzione

I social network possono sì essere una fonte di informazioni, ma spesso sintetizzate al massimo (oltre che caotiche e disordinate): la maggior parte delle persone legge solo i titoli degli articoli che incontra sui social network (e ugualmente però condivide e commenta i contenuti dell’articolo non letto: secondo uno studio, il 59% dei link condivisi non sono stati neppure cliccati da chi li condivide).

Nel gergo della lingua americana dei social network esiste l’acrimo “TLDR”, cioè “Too Long,. Didn’t Read” (“Troppo lungo, non ho letto”): l’incapacità di mantenere l’attenzione per tutto un lungo post è diventata una sorta di merito anziché una lacuna, ed invece chi cerca di approfondire diventa in qualche modo “colpevole”.

Ovviamente, questa incapacità di mantenere l’attenzione fissa su una singola cosa per un tempo non breve si ripercuote in contesti più ampi, a partire dalla capacità di comprensione dei testi (come abbiamo già avuto modo di vedere).

8. Favoriscono l’”effetto mandria”

Gli algoritmi di ordinamento dei post (cioè quelli che decidono cosa appare prima o dopo, o non appare per nulla, quando aprite facebook o altri social) sono accusati di favorire i contenuti “populisti” e banali (che sono favoriti anche perché richiedono una soglia di attenzione più bassa), andando invece a penalizzare i contenuti che invece hanno magari più sostanza. Il motivo è che sono privilegiati i post che hanno avuto numerose visualizzazioni e interazioni, non i post di qualità: le critiche all’algoritmo usato da Facebook sono numerose (c’è chi sostiene che dovrebbe essere pubblico, in modo che si possa sapere come sono filtrate le informazioni). C’è poi tutto il problema della censura effettuata da Facebook, che decide cosa può essere pubblicato e cosa no, spesso applicando regole arbitrarie in modo ottuso.

Inoltre, le condivisioni diventano un modo per condividere anche le opinioni, ma non sono figlie di un reale ragionamento (come vedevamo, la maggior parte delle cose condivise non sono state lette da chi le ha condivise). Il risultato, se si immagina di essere un osservatore esterno, è quello di una massa informe e spersonalizzata, dove ciascuno crede di essere importante perché ha uno spazio dove crede di potersi esprimere, ma in realtà si limita a seguire le mode.

9. Favoriscono la circolazione di bufale

Le bufale non sono nate con i social network, diciamolo subito. Ma è un dato di fatto che i social network favoriscono la velocità di propagazione e la portata delle bufale: la maggiore connessione offerta dai social network è la prima ragione di questo “potenziamento” delle bufale. Ma perché si diffondono le bufale? Le ragioni sono molteplici: dalla scarsa attenzione ai fatti, alla “paura del caos”, al fatto che essere convinti di sapere qualcosa “che i poteri forti nascondono” dà un senso di superiorità che va a compensare altre lacune psicologiche.

10. Hanno convinto che non fare nulla è attivismo

L’attivismo e la partecipazione sul web hanno preso una piega perversa: cambiare foto del profilo per ricordare questa o quella causa, o per ricordare le vittime dell’ennesima tragedia viene percepito, da chi lo fa, come qualcosa di importante e soprattutto utile a sostenere la causa. Ma se chi lo fa è spesso convinto di avere contribuito attivamente a qualcosa, in realtà non ha fatto assolutamente niente di concreto. Ma avendo la coscienza a posto rinuncia a fare qualcosa di reale.

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