Come fanno a diffondersi le bufale su Internet? E, ancora di più, perché in Gran Bretagna ha vinto la Brexit, nonostante la campagna sia stata piena di informazioni false o palesemente distorte (tanto che i promotori del “leave” hanno dovuto rimangiarsi tra le polemiche molte promesse fatte)?
Una delle più clamorose retromarce è stata proprio da uno dei leader della campagna, Michael Farage, che poche ore dopo la vittoria del referendum ha smentito uno dei pilastri della campagna per l’uscita dalla UE, e cioè il fatto che i 340 milioni di sterline alla settimana che il Regno Unito “dà all’Unione Europea” sarebbero stati usati per il servizio sanitario nazionale. Una promessa che non poteva essere mantenuta, come era stato chiaramente evidenziato da più parti, perché se è vero che la Gran Bretagna dà quei fondi in gestione all’Unione Europea, quei fondi tornano indietro in GB sotto forma di finanziamenti alla ricerca, contributi agli agricoltori, aiuti alle zone disagiate, e molto altro. Quindi, non c’è un vero risparmio, al massimo (quello sì) la possibilità di decidere con maggiore autonomia come spostare le risorse da un settore all’altro. Una cosa però ben diversa.
La situazione che si è creata è destinata a fare grandi danni in Gran Bretagna e non solo, a causa dell’incertezza che si è reata: il problema infatti è che si sono create aspettative non realizzabili. Questo fa sì che non ci sia idea chiara di quale debba essere la relazione tra GB e UE “dopo” (ben diverso sarebbe stato uscire sapendo dove si voleva – e poteva – andare): ne è la prova il fatto che la GB cerchi di prendere tempo prima di formalizzare la richiesta di uscita, che è vero che attiva un termine di due anni (peraltro prorogabili) ma che non riguardano “la scadenza dell’uscita dalla UE” ma la definizione di un accordo (che potrebbe benissimo prevedere un uscita graduale in molti anni).
Fatta questa premessa, come è possibile che in tantissimi abbiano accettato incondizionamente promesse sostanzialmente campate in aria? C’è una ragione scientifica, in realtà, ed è la stessa che permette alle bufale di diffondersi su internet, che spesso si basano su fatti totalmente infondati.. Si chiama “confirmation bias“, o bias di conferma in Italiano.
Il concetto è relativamente semplice da spiegare, ma molto meno da curare. Il fenomeno infatti è noto da tempo: le persone, quando cercano informazioni, non lo fanno con lo scopo di comprendere meglio i fatti e formarsi un’opinione, ma invece cercano conferme delle opinioni che hanno già, selezionando le informazioni in accordo con le loro idee e scartando invece quelle non coerenti con lo scenario mentale che si sono creati. Il motivo è che, come in molti altri campi, gil esseri umani cercano di minimizzare il consumo di energie mentali, e “cambiare idea” è una delle cose più faticose che si possano fare da questo punto di vista. Molto meno sforzo serve per credere a informazioni non affidabili o addirittura fasulle.
Questo fenomeno, secondo ricerche recenti, è particolarmente vivo quando si parla di politica, e sembrerebbe che internet in questo giochi un ruolo tutt’altro che positivo. Infatti, internet dà una grandissima disponibilità di informazioni, anche se non tutte ugualmente autorevoli o documentate, includendo però include anche informazioni disotorte o errate. Fatto sta che, qualunque opionione uno abbia, internet dà la possibilità di trovare informazioni (più o meno corrette o affidabili) che le corroborino.
E non è probabilmente un caso che da quando internet è diventata per molti una fonte importante di informazioni le opionioni appaiano sempre più polarizzate, nonostante in teoria tutti siano “esposti” agli stessi dati. La colpa sarebbe anche dei media più autorevoli, in un equivoco atteggiamento di neutralità che vorrebbe che ogni opionione abbia diritto allo stesso spazio: il punto però è che un conto sono le opinioni, un altro sono i fatti. E citando il comico John Oliver, parlando della situazione dell’informazione negli USA, “se la maggior parte delle persone dicono che 2+2 fa 5, semplicemente la maggior parte delle persone si sbagliano”.