Gli esperti di psicologia e di studi sulla memoria sono da tempo critici di certe tecniche di interrogatorio usate talvolta dalla polizia (specie negli USA), perché tenderebbero a spingere la gente a fare false confessioni, convincendo l’interrogato di avere realmente commesso un delitto. Queste critiche però sono sempre state rispedite al mittente, dato che le teorie di questi esperti erano state giudicate senza solide basi. Almeno finora.
Un gruppo di ricercatori ha realizzato un esperimento in cui è stata dimostrata la possibilità di impiantare false memorie di episodi criminali, all’interno di un ambiente sperimentale controllato.
I ricercatori hanno usato “tecniche suggestive di ricerca dei ricordi”, cioè ad esempio fornito prove false (come ad esempio, “secondo i tuoi genitori, hai fatto questo”), usato “pressione sociale” (frasi come “la maggior parte delle persone è in grado di recuperare i ricordi perduti, se si sforza abbastanza”) e guidando i soggetti con descrizioni ed immagini.
Dopo tre di queste sessioni, il 70% dei volontari era convinto di avere commesso un crimine in gioventù (furto, rapina, aggressione) che li aveva portati a contatto con la polizia nel corso dell’adolescenza, di cui era in grado di descrivere i particolari. Spesso questi falsi ricordi (o false confessioni) sembrano reali proprio perché il soggetto fornisce particolari aggiuntivi che non erano stati descritti dall’intervistatore.
I ricercatori mettono in guardia dall’utilizzo di tecniche di interrogatorio suggestive, perché possono generare facilmente false confessioni, anche se in buona fede.