La pubblicità in Internet viene acquistata con diversi meccanismi, che sono collegati al livello di interazione del navigatore con l’annuncio. I più comuni sono tre:
- a visualizzazione (spesso classificata come CPM, cost per mille, o PPM, pay per mille): l’acquirente dello spazio paga una certa somma per ciascuna visualizzazione dell’annuncio (indipendentemente dal fatto che il visitatore clicca o interagisca in altro modo con l’annuncio).
- a click (classificata come CPC – cost per click o PPC, pay per click): in cui l’acquirente paga non per la visualizzazione degli annunci in sé, ma per i click sugli annunci. Questo meccanismo, in teoria, dovrebbe consentire agli acquirenti di pagare solo per gli utenti “effettivamente interessati”
- per azione (CPA, cost per action o PPA, pay per action): in cui l’acquirente paga solo in relazione ai visitatori che non solo vedono il loro annuncio, non solo ci cliccano sopra, ma compiono ulteriori azioni, come la registrazione in un sito, o l’acquisto vero e proprio del loro prodotto o servizio. Si parla in questi casi di pubblicità PPL (pay per lead) o (pay per sale). Sono molti gli acquirenti che spingono verso questa modalità, perché permette loro di avere la massima certezza di pagare solo per i risultati ottenuti: di fatto i siti in questo scenario diventano una rete di vendita, e non di promozione. Ma questo comporta delle problematicità da non trascurare.
La domanda che nasce è semplice: le pubblicità “pay par action” sono ancora pubblicità? Il dubbio è infatti che inizino a somigliare molto — troppo — all’intermediazione. Se parliamo di un soggetto che percepisce una quota dei ricavi (o dei guadagni) che genera, viene infatti non da pensare ad un soggetto che “fa pubblicità”, ma piuttosto qualcosa di simile ad un agente o ad un mediatore.
Se parliamo di prodotti finanziari, la questione inizia a farsi delicata: da un lato è comprensibile che l’intermediario abbia interesse ad incentivare la vendita dei prodotti per i quali ha una commissione sulla vendita, dall’altro non è automatico che sia idoneo a fare da agente o mediatore finanziario. Il rischio è quello che l’intermediario “ci metta un po’ troppo entusiasmo”, e incentivi la sottoscrizione di investimenti che non sono idonei per lo specifico sottoscrittore, ad esempio presentandoli come investimenti senza rischio.
Sono proprio questi atteggiamenti di “incentivazione estrema” (per dirla con un eufemismo) che hanno fatto parlare qualcuno di “truffa del Forex” qualche tempo fa. Non serve dire che, ovviamente, il forex di per sé non è una truffa, ma indubbiamente presentarlo come qualcosa che non è (paragonandolo ad un investimento a rischio zero) è scorretto. Anche se dà minore certezza dell’investimento, sarebbe a nostro parere opportuno che chi vende prodotti finanziari faccia attenzione ai canali e metodi promozionali che utilizza.
Nel migliore dei casi, il rischio è di ritrovarsi investitori insoddisfatti (che quindi sono investitori che non investiranno più e sconsiglieranno i conoscenti da quella tipologia di investimento). Il caso limite, non troppo astratto, è che chi vende prodotti finanziari si trovi a dover rispondere dei comportamenti di questi soggetti che diventano alla fine “pseudo-agenti”.
Banche e Risparmio [http://www.banknoise.com]
Le “pay par action” sono ancora pubblicità: SI !
L’agente (o il mediatore) è un soggetto autorizzato da Consob e svolge il suo ruolo come primaria attività.
(almeno in Italia) un blogger che cede i suoi spazi pubblicitari ai circuiti di affiliazione, al massimo riesce a pagarsi l’hosting :)
Però a quel punto non “cede gli spazi pubblicitari”, di fatto vende prodotti finanziari…
(Poi che ci guadagni poco o niente, specie se è onesto, non cambia)