La chiusura di Megaupload, il famosissimo sito di scambio e archivio di file ha destato un certo scalpore nelle scorse settimane, specie tra gli appassionati di file sharing più o meno legale.
Adesso che si avvicina la cancellazione completa di tutti i contenuti (che sembra possa avvenire già il 2 febbraio) c’è più di qualcuno che inizia ad osservare le implicazioni della chiusura di Megaupload, specie per il cosiddetto cloud computing, che dovrebbe essere la nuova frontiera dell’informatica e dello sviluppo ma rischia di ricevere una brutta batosta.
Il “cloud computing”, inteso in senso allargato, non è altro che il tenere i propri dati non più in un luogo fisico ben definito (leggi: un server o un computer), ma sulla “nuvola” di internet (leggi: su un servizio di hosting flessibile). I vantaggi sono potenzialmente notevoli: le informazioni e i dati sono sempre accessibili, da dovunque, e con qualunque dispositivo. Per le imprese si apre anche la possibilità di utilizzare applicazioni “a consumo”, con la possibilità di ridurre gli investimenti fissi, un fattore che può essere importante per le piccole e medie imprese.
Ma c’è un “ma”. Chi controlla i dati che sono nel cloud? Può cederli a terzi? E cosa succede se viene interrotto il servizio? Finora in molti hanno risposto sostenendo che si trattava di ipotesi irrealistiche. La chiusura di Megaupload è però la dimostrazione che così non è.
È vero che su Megaupload erano presenti milioni di file che violavano i diritti di proprietà intellettuale, ma questi file erano in realtà una piccola parte di tutti i file, circa otto miliardi, caricati sulla piattaforma. Tutti gli altri utenti (legittimi) si trovano ora danneggiati dato che non possono usufruire dei file che avevano caricato (nella totale legalità). Quando si parla di Internet, i legittimi diritti degli utenti tendono ad essere spesso sottovalutati, e più di qualcuno alla proteste degli utenti “in regola” risponde che comunque la piattaforma era usata in modo significativo per scopi illegali, è corretto e inevitabile colpire tutta la struttura. Ma sarebbe come dire che se il vostro vicino spaccia droga, sarebbe corretto requisire anche a voi la casa e sfrattarvi. Francamente, anche se questo avvenisse con la connivenza dell’amministratore di condominio, ci sembra un principio ben poco sostenibile.
È quasi inevitabile che la chiusura di Megaupload avrà dunque conseguenze sulla fiducia dei privati, e delle imprese, nel cloud computing, con danni economici importanti, sia per i maggiori costi che la mancata adozione del “cloud” causerà alle imprese, sia per i danni delle mancate innovazioni che la tecnologia potrebbe rendere possibile.
Banche e Risparmio [http://www.banknoise.com]
Non sono d’accordo, Megaupload è stato utilizzato soprattutto per scambio di materiale coperto dal diritto d’autore.
In questo caso non è in gioco la serietà della cloud: le aziende serie che si occupano di cloud, Microsoft, Google, Amazon e altre, difficilmente incontreranno problemi di questo tipo.
Sono d’accordo, una cosa è il file sharing di file coperti da copyright, e un altra sono i cloud come dropbox e tantissimi altri che non ne risentiranno secondo me.