In questi giorni si è guadagnata spazio sui giornali una ricerca del professor Allan Penn, responsabile del Virtual Reality Centre for the Built Environment dell’UCL (University College London), che mostrerebbe come la struttura “fisica” dei negozi IKEA sia orientata a spingere i visitatori all’acquisto anche di prodotti che non si erano “preventivati” al momento dell’ingresso nel negozio.
Tralasciando la smentita (di circostanza) dei manager IKEA, forse il professor Penn non è a conoscenza del fatto che il layout di ogni negozio della categoria “Grande Distribuzione Organizzata” è oggetto di studi scientifici da decine di anni, e l’organizzazione di un supermercato, ipermercato o un grande magazzino è tutto meno che casuale.
L’organizzazione dei punti vendita, non è un mistero, è ottimizzata per incentivare le vendite. Esempio banale ne sono gli espositori vicino alle casse pensati proprio per incentivare gli acquisti d’impulso di prodotti che si prestano a questo tipo di vendita (cioccolatini, gomme da masticare, ecc.). Ma anche il posizionamento di un prodotto sullo scaffale è solitamente oggetto di contrattazione tra il brand e la rete vendita, con alcuni scaffali che valgono molto di più degli altri. Perché permettono di vendere molto di più. Ci sono dei veri e propri algoritmi che permettono di calcolare il ritorno di un prodotto a seconda del posizionamento.
Del resto, si tratta di un comportamento perfettamente ovvio e legittimo: è scontato che il venditore cerchi di fare il possibile per vendere i suoi prodotti, non solamente attraverso i venditori ma anche attraverso tecniche “non interattive”. È responsabilità del compratore non farsi “piazzare” prodotti che non gli servono, anche se questo vuol dire controllare i propri “impulsi”.
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Ennesima scoperta dell’acqua calda.
Imho stanno architettando qualcosa anti-ikea, perchè questa è davvero davvero demenziale.