Approfittando del fatto che la Banca d’Italia in questo periodo sta rilasciando una serie di bollettini sulle economie regionali (che speriamo di aver modo di esaminare una ad una nei prossimi giorni), ci sembra interessante analizzare il caso del Veneto, che per certi versi sintetizza diversi dei “mali” deli sistema economico italiano — ricordiamo che il nostro Paese è stato tra i primi a segnare una contrazione del PIL, già nel 2008.
Il Veneto, pur vantando una situazione economico-produttiva più solida rispetto ad altre Regioni d’Italia, presentava comunque una serie di criticità che rendono l’economia regionale esposta al rischio.
- Peso rilevante delle esportazioni, ma soprattutto una loro concentrazione, in particolare sul mercato europeo (che pesa per il 60% delle esportazioni), che ha “trasferito” nella Regione direttamente la crisi dei principali “paesi clienti”, anche più che rispetto al resto d’Italia (le esportazioni verso la UE sarebbero diminuite del 7,8%, rispetto ad un -3,7% medio nazionale). Questa “concentrazione”, tra l’altro, è uno degli elementi che non ha permesso di cogliere appieno le opportunità offerte dalla fase di sviluppo nell’ultimo decennio.
- Grosso peso della subfornitura: il Veneto vanta importanti realtà che operano nel campo della componentistica, che però non avendo accesso diretto al mercato finale si trovano a subire in modo amplificato gli effetti della crisi, dato che una riduzione delle vendite da parte del produttore si traduce anche in un aumento delle scorte e quindi in un amplificata (o quantomeno, repentina, e quindi più difficilmente gestibile) diminuzione degli ordini verso il subfornitore — ecco che si spiega la diminuzione delle esportazioni oltre la media nazionale. Questa diminuzione di ordini può comportare ulteriori problemi, dato che non è infrequente che la realizzazione di uno specifico componente per uno specifico cliente comporti dei costi fissi (legati non solo all'”attrezzaggio” della linea produttiva, ma anche alla realizzazione di prototipi o ad una parziale ingegnerizzazione), che quindi vanno ad erodere ancora di più i margini.
- Concentrazione della produzione sul prodotti a basso valore aggiunto, in cui da un lato i competitor sono spesso paesi emergenti, che possono contare su un vantaggio competitivo grazie a costi più bassi, e dall’altro sono i primi a subire le conseguenze della crisi, dato che in contesti come questo i clienti diventano più esigenti, pretendendo un elevato rapporto qualità/prezzo (avendo pochi soldi, vanno spesi meglio). Dato che nel nostro Paese non è possibile ridurre oltre misura i costi, diventa fondamentale la necessità di proporre “valore reale” al cliente, una strada che solo da poco le imprese del Veneto, come quelle italiane in generale, stanno iniziando ad imboccare con maggiore convinzione.
Banche e Risparmio [http://www.banknoise.com]
non sono d'accordo del tutto col terzo punto: in realtà in periodi in cui il reddito disponibile si riduce si dovrebbe registrare un aumento della domanda di beni inferiori, che non sono esattamente beni con un elevato rapporto qualità-prezzo…
"Qualità" non vuol dire per forza "fascia alta", ma piuttosto soddisfare le aspettative degli utenti.
Ad esempio, un'auto di "fascia bassa" (un'utilitaria) può essere di elevata qualità, così come una berlina grande può essere di bassa qualità.
In periodi di crisi, la scelta tende ad abbassarsi verso fasce più basse, ma la richiesta di qualità aumenta, nel senso che l'acquirente sta più attento a che le "funzioni" che desidera siano soddisfatte, perché un errato acquisto diventa meno sostenibile.