Il referendum si avvicina, e i toni della campagna si scaldano. Ma c’è una lezione che ci portiamo a casa da queste consultazioni, a prescindere dal fatto che vinca il sì oppure il no: il diritto di voto universale è un concetto che andrebbe ripensato.
Chiaramente, la nostra è una provocazione (fino ad un certo punto), ma ci sono alcune riflessioni che meritano di essere fatte, per quanto spiacevoli.
Innanzi tutto, la democrazia si basa sulla conoscenza dei fatti: se discutiamo in tanti prendiamo una decisione migliore di quella che si prenderebbe a caso, oppure che prenderebbe un singolo un singolo, o un gruppo di pochi, a patto che tutti si sappia di cosa si sta parlando.
E’ superfluo dire che molto spesso questo non avviene: e non basta “essersi informati”. L’idea di “informarsi” è una delle più grandi distorsioni del nostro giorni: chi si “informa” ne sa ben poco. Voi chiamereste un elettricista che vi dice “non so come funzioni una presa di corrente, ma mi sono informato e adesso vengo ad installargliela a casa”. No di certo.
A parte gli esempi provocatori, il motivo per cui “informarsi” non basta è legato al processo cognitivo e a come vengono prese le decisioni: fondamentalmente quando si cercano informazioni, si cercano informazioni che confermano le proprie idee e i propri preconcetti, scartando invece quelle informazioni che non sono coerenti con esse. E badate bene, questa cosa non succede perché siete cattive persone, è un processo fatto inconsciamente. Questo è particolarmente facile quando si usa internet come fonte, dato che la grande disponibilità di informazioni permette certamente di trovarne che confermino la vostra idea.
L’altro aspetto è che molto del dibattito non entra neppur nel merito del discorso: si guarda in gran parte a chi dice cosa, e non a cosa viene detto. Quindi si prendono decisioni in base a simpatie e antipatie, non perché si condivide un’idea. Dire che “X non mi piace quindi voto il contrario di quello che dice lui”, oppure “Y mi piace per cui faccio quello che dice” non sono opinioni: al massimo è un premio alla capacità comunicativa del “leader”. Che però non sempre è seguita dalla validità dell’idea.