Del moral hazard abbiamo parlato spesso in passato: è quella situazione in cui un soggetto possa sentirsi autorizzato a intraprendere investimenti a rischio elevato, nella convinzione che in caso di perdite queste saranno sopportate non da lui stesso ma dalla collettività.
È il caso tipico di banche che si sono ritenute “too big to fail”, troppo grandi per fallire, sicure che il Governo o qualche altra autorità sarebbe intervenuta a salvarle in caso di grandi perdite. Ed è una delle cause della crisi finanziaria del 2008.
Ma è anche il caso della Grecia, che ha basato tutta la sua trattativa con i suoi creditori sulla convinzione che tanto ne avrebbero impedito il fallimento, in qualche modo. Fino a tirare troppo la corda (dire che non si ha intenzione di ripagare i debiti è un pessimo biglietto da visita quando si vuole chiedere dei prestiti). E non nell’interesse dei deboli: ad esempio, in Grecia i dipendenti pubblici possono andare in pensione anticipata prima dei 55 anni (con un costo stimato in circa l’1% del PIL), e molti altri sprechi. Ovviamente questo non vuol dire che tutte le richieste ricevute dai creditori da parte della Grecia negli ultimi anni siano state ottimali e giuste. Ma sicuramente c’erano i margini per un compromesso concreto.