Uno studio condotta da ricercatori americani e australiani ha evidenziato come le persone tendano a credere non alle informazioni vere ma a quelle più “interessanti”, quelle che colpiscono di più l’immaginazione.
Il motivo sarebbe che, psicologicamente, quando il cervello cerca di capire un’informazione deve accettarla come vera, e correggere questa “attribuzione” non è sempre scontato, soprattutto se la storia ha un certo grado di coerenza interna. Il problema è aggravato dal fatto che ci si ricorda delle informazione, ma ben più raramente della loro fonte. L’affidabilità della fonte non è quindi un fattore che può entrare in gioco nel valutare l’affidabilità dell’informazione.
Piuttosto, il filtro è quello delle coerenza con le altre “conoscenza” che si ha: in altre parole le informazioni sono ritenute vere solo se rafforzano quello in cui si crede. Un esempio lampante e recente è quello del senatore repubblicano americano che ha dichiarato che “se una donna viene stuprata, non rischia di rimanere incinta”: una bestialità senza fondamento ma che viene accettata come vera da chi crede che in nessun caso sia accettabile l’aborto.
In generale, sarebbe uno dei motivi per cui le “teorie del complotto” hanno così larga diffusione: sono affascinanti, hanno coerenza interna e a volte danno una spiegazione “apparentemente più comprensibile” per chi magari ha ridotte conoscenze tecniche, scientifiche o sociali. L’altro motivo alla base della diffusione delle teorie del complotto è che sono più tranquillizzanti psicologicamente: a molte persone fa molto meno paura pensare a un nemico bene identificabile, un cattivone da film di James Bond per intenderci, anziché un pericolo più diffuso e meno controllabile.
Ma in generale è anche il motivo per cui ciascuno “sceglie” di credere nelle soluzioni (economiche e non) che gli fanno più comodo, anziché quelle realmente più sostenibili.
Chiaramente questo approccio ai problemi e alle soluzioni rappresenta un grosso problema. Si può citare Piero Angela, che in tempi non sospetti diceva:
« Curiosamente oggi si parla molto di partecipazione, intesa come uno strumento di sviluppo democratico, ma raramente si parla di divulgazione come condizione essenziale per capire e quindi per partecipare. La democrazia non può basarsi sull’ignoranza dei problemi, perché uno dei suoi grandi obiettivi è proprio quello di rendere i cittadini responsabili e consapevoli, in modo che possano esercitare i loro diritti utilizzando meglio la loro capacità di capire.»
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Detto da Piero Angela, le cui tesi di sostegno alla “versione ufficiale” sull’11 settembre sono tutt’altro che basate sulla scienza, fa un pò sorridere.