Economia e Finanza

I fondi pensione e i coefficienti di trasformazione in rendita

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Si tratta di un tema di cui avevamo già parlato diverso tempo fa, ma dato che è riemerso tra le righe trattando degli investimenti semplici e complessi, vale la pena spendere nuovamente qualche parola.


Stiamo parlando dei fondi pensione, ed in particolare di un aspetto ad essi connesso, cioè i coefficienti di trasformazione in rendita. Si tratta di un parametro forse per molti poco noto, ma assolutamente fondamentale quando si parla di una forma di pensione integrativa.

Il funzionamento dei fondi pensione si basa sul consentire al lavoratore di accumulare una parte del suo reddito nel corso degli anni, che gli viene poi “restituito” come pensione integrativa al momento concordato (che può essere quando il lavoratore va in pensione, ma anche ad una certa età).

Ma come avviene questa “restituzione”? In pratica, nel corso degli anni è stato un capitale, che al momento dell’erogazione viene “convertito in rendita”, cioè in un insieme di pagamenti periodici (tipicamente mensili) anziché essere erogato in un unica soluzione all’inizio del periodo. L’importo dei pagamenti mensili è calcolato sulla base di coefficienti di conversione (appunto i coefficienti di trasformazione in rendita) che dipendono principalmente dalla vita attesa residua dell’investitore, ma che non sono “universali” bensì variano da polizza a polizza.

Si può comprendere quindi come questo sia il nocciolo della questione: a parte tutti i ragionamenti sulla performance dei fondi pensione, il rapporto tra i pagamenti periodici e il capitale accumulato diventa determinante per capire se l’investimento sia vantaggioso o no.

Il punto chiave a nostro parere è che il coefficiente di trasformazione in rendita è relativamente basso (può partire dal 4-4,5% annui): il che rende l’investimento confrontabile con forme alternative. Immaginiamo una persona che a “fine lavoro” sia riuscito ad accumulare 100.000 euro di capitale per la pensione. Se quei soldi sono in un fondo pensione, ipotizzando un tasso di conversione in rendita del 4,5% vuol dire un rendimento vicino a quello che potrebbe probabilmente essere ottenibile con ad esempio un conto di deposito vincolato (tanto più se immaginiamo di erodere il capitale nel corso del tempo).

Il fondo pensione può essere vantaggioso perché “costringe” il lavoratore a risparmiare ed impedisce poi di “mangiarsi” il capitale in troppo poco tempo, ma non è scontato che in assoluto sia una scelta migliore. Ecco perché diventa fondamentale leggere molto bene i contratti di questi fondi, prestando molta attenzione anche ai coefficienti di trasformazione in rendita e di come la compagnia assicurativa si propone di aggiornarli nel tempo.

Banche e Risparmio [http://www.banknoise.com]

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1 commento

  • Concordo sull’importanza del coefficiente di trasformazione in rendita, anzi è un parametro a cui non si presta molta attenzione quindi è giusto sottolinarlo, ma se volessimo fare un confronto con un conto di deposito o un qualsiasi altro strumento occorrerebbe tener conto anche di altri fattori, tra cui uno molto rilevante e a favore dei fondi pensione è sicuramente il contributo obbligatorio del datore di lavoro che va ad incrementare il montante del dipendente ottenuto grazie ai propri versamenti.