L’Italia è densamente “popolata” da piccole imprese, e di nuove ne nascono di continuo. Le nuove imprese, del resto, sarebbero un elemento importante per dare dinamicità all’economia del Paese, perché sono spesso le nuove imprese che hanno nuove idee, e che quindi possono dare un contributo a rendere più competitiva l’economia del Paese. Diciamo “sarebbero” perché in Italia la tendenza è quella di cercare di mantenere il più possibile lo status quo, con intenzioni anche apprezzabili (come quella di tutelare i lavoratori occupati, cercando di fare sì che mantengano il posto di lavoro — che è un concetto leggermente diverso dal creare occupazione), ma con il risultato che il “nuovo” viene spesso penalizzato.
Tornando al tema delle nuove imprese, che negli ultimi tempi sono nate in più di qualche caso anche per fare fronte alla crisi e “inventarsi un lavoro” dopo averlo magari perso, va sottolineato come creare un’impresa che possa dirsi solida è tutt’altro che cosa facile. Non solo in Italia: in tutto il mondo, le nuove imprese che falliscono entro due anni dall’apertura sono tra un terzo e metà del totale. Ecco allora che diventa importante per un neo-imprenditore, o aspirante tale, prestare alcune attenzioni. Vediamo assieme le principali cause di fallimento delle nuove imprese:
- Mancanza di una “buona idea”. La questione è semplice: per fare un’impresa di successo è necessario (o quantomeno, molto utile) fare qualcosa di diverso da quello che già fanno gli altri.
- Mancanza di conoscenza del mercato. Le motivazioni della nascita di nuove imprese sono spesso dai “sogni” e dalle aspirazioni delle persone, e non dalla rilevazione di una necessità o di un’opportunità di mercato. Il classico esempio, e più intuitivo, è quello dei bar: spesso chi prende in gestione un bar è motivato unicamente dall’idea “mi piacerebbe avere un bar”, ma non si pone la questione se “ci sia la necessità” di un bar dove vuole aprire, e poi capita che lo organizzi e lo gestisca secondo quella che è la sua idea di bar “che gli piacerebbe gestire” anziché quella che è l’utilità o il desiderio dei potenziali clienti. Inutile dire che un bar (un’impresa in generale) avviata in questo modo rischia fortemente di non avere lunghe prospettive.
- Mancanza di un business plan. Se prima parlavamo di una conoscenza “strategica” del mercato di riferimento, qui ci riferiamo alla capacità di fare delle stime finanziarie realistiche su quelli che possono essere i flussi finanziari. L’errore tipico è quello di sottovalutare i costi (dimenticando che bisogna anche pagare affitti, o utenze, o tasse…) e di sopravvalutare i ricavi, ed in particolare la quota di mercato che può realisticamente raggiungere l’impresa nel breve periodo.
- Risorse finanziarie insufficienti. Avviare un’impresa richiede spesso risorse finanziarie ingenti, dato che nel primo periodo, oltre a non avere ancora coperto l’investimento iniziale fatto, vi sono spesso spese significative di promozione (non necessariamente come esborso di cassa, ma sicuramente come tempo dedicato a “farsi conoscere”, che quindi è sottratto da altre attività), e capita che si debba fare qualche lavoro “in perdita”, sia per via dell’inevitabile rodaggio che è necessario, sia perché può essere necessario per iniziare a “conquistare” una fetta di mercato. Avere un’idea chiara delle risorse finanziarie che sono necessarie, di come reperirle, e del relativo costo, diventa quindi fondamentale.
- Cattivo posizionamento (sia “geografico” che “digitale”). È abbastanza intuitivo il fatto che un negozio “fuori mano” può essere penalizzato rispetto ad uno in centro. Lo stesso vale per imprese di altro tipo, e deve essere considerato non solo come elemento per entrare in contatto con i clienti, ma anche come fattore che può agevolare, o rendere più difficoltosi, i rapporti con i fornitori e in generale la logistica. Lo stesso discorso vale, oltre che nella realtà “fisica”, anche su internet, che è un canale che non va sottovalutato ma anzi deve essere sfruttato al massimo, però in coerenza con quelli che sono le caratteristiche, gli obiettivi, e l’immagine dell’azienda.
- Rigidità. Anche se può apparire strano, la rigidità sulle idee iniziali spesso penalizza le nuove imprese, che invece dovrebbero essere capaci di apportare correzioni al loro modello di business (prima che sia troppo tardi) qualora si dimostri necessario, ma anche di cogliere ulteriori opportunità che si possono presentare. Soprattutto, non dimenticare che il mondo cambia continuamente, e quindi “irrigidirsi” su una proposta molto specifica può rendere impreparati a cambiamenti, con conseguenze immaginabili.
- Tentazione di crescere troppo velocemente. Una volta fatto l’avvio iniziale, spesso si decide di espandersi (cercando di penetrare mercati esteri, ad esempio). Un’aspirazione più che legittima, ma non va trascurato che un ingrandimento dell’attività dell’impresa è quasi un nuovo avvio, per cui valgono ancora le considerazioni fatte finora (buona idea, conoscenza del mercato, business plan, risorse finanziarie, ecc.), altrimenti il costo della crescita può essere anche molto superiore ai benefici che comporta.
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Analisi sicuramente precisa. ma se si pensa alla rigidità, questo articolo mi sembra proprio così, rigido. Queste sette ragioni sono quelle che qualsiasi libro che parli di fare impresa o business plan enuncia. Molto spesso, è una mia sensazione, gli imprenditori non credono alle prorprie idee si lasciano scoraggiare e finiscono in una depressione post-start-up, che inevitabilmente li porta al fallimento.
Avere idee grandi, cercare di accelerare i tempi, espandersi velocemente, non li vedo come difetti ma come pregi di un imprenditore. Logicamente il tutto deve essere accompagnato dal buonsenso
La questione è proprio quella del buonsenso: se vogliamo, bisogna evitare sia di stare fermi che di fare il passo più lungo della gamba.
Direi che la questione è riflettere bene sulle scelte, realisticamente ma non per questo facendosi prendere dalla depressione: abbiamo visto molti aspiranti imprenditori, con idee nuove, che si aspettavano di conquistare il 100% del mercato potenziale, che è decisamente ingenuo.