Nei giorni scorsi si è svolto a Milano un workshop su banche e Fisco, per l’approfondimento e analisi degli effetti delle norme fiscali sul settore bancario nazionale, da cui è emerso come nel 2008 (ultimo anno osservabile attraverso le dichiarazioni dei redditi) il livello di pressione fiscale diretta sulle banche si sia attestato al 43,9%, in netta crescita rispetto ai livelli medi del periodo 2000-2006. Le banche italiane anche nel 2008 hanno il primato di uno tra i Paesi a più alto livello di imposizione fiscale, con una tassazione che sarebbe 15 punti percentuali più elevata rispetto alla media europea.
“In un contesto ancora caratterizzato da difficoltà economiche e da una ripresa ancora fragile – ha commentato il Direttore generale dell’ABI, Giovanni Sabatini – le recenti proposte al centro dell’agenda economica internazionale sull’opportunità di una nuova “tassa” globale sulle banche sollevano più di un interrogativo. Condividiamo l’esigenza di una convergenza e armonizzazione della regolamentazione internazionale, ma bisogna tener presente che, specie nel campo fiscale, le proposte si inseriscono su legislazioni nazionali oggi fortemente differenziate e potrebbero quindi ampliare, invece di ridurre, il divario competitivo. Inoltre è necessario garantire la semplicità del sistema e il coordinamento delle regole in campo fiscale, prudenziale, contabile e in materia di trasparenza e correttezza”.
La questione della tassazione delle banche non è certamente banale, dato che è quantomeno ingenuo l’atteggiamento di quanti vedono la tassazione delle banche come una specie di vendetta contro questi soggetti antipatici. La questione, a nostro parere, è piuttosto che le tasse dovrebbero incentivare un comportamento in linea con le esigenze della collettività e della buona gestione di lungo periodo, forse ancor prima che puntare a raccogliere risorse. Va anche riconosciuto come la semplificazione massima sia auspicabile dato che è talvolta nelle complessità stesse delle normative fiscali che si creano pieghe che permettono angoli oscuri. Senza contare, nel caso delle banche, che una tassazione troppo complessa potrebbe effettivamente ridurre la trasparenza dei bilanci delle banche stesse, finendo col mascherare lo stato di salute del settore.
Banche e Risparmio [http://www.banknoise.com]
Nel caso delle banche in Italia è anche difficile contestargli quante tasse vengano pagate sul e dal lavoro dipendente.
Questo perché hanno una quantità immane di dipendenti.
Dipendenti che, sia che si tratti di bancari che di altre aziende, prendono molto meno di quello che il datore di lavoro versa.
Tuttavia, il datore di lavoro deve versare tutto (e le banche non sono certo soggetti che pagano in nero).
Per inciso, Intesa Sanpaolo dovrebbe essere il principale datore di lavoro privato per gli italiani.
Ho provato a confrontare i suoi dati con quelli di FIAT ed un margine di dubbio c’è.
Ma, se è vero che FIAT ha complessivamente più dipendenti, essa opera in una cinquantina di nazioni (ha rapporti commerciali con molte di più, ovviamente).
E’ verosimile che sul territorio italiano abbia più dipendenti la banca con più filiali sul territorio nazionale.
Quello che è evidente è che ne ha di più di ENI od ENEL anche come quantità assoluta.
Considerando che la quota di mercato di Intesa Sanpaolo è notevole, ma è solo una quota, è verosimile che le banche abbiano un ruolo sociale più significativo di quello che è comunemente percepito anche per il lavoro che danno direttamente.
Peraltro, ed era quello che volevo evidenziare quando ho iniziato a scrivere questo commento (anche se poi mi sono allargato) i dati di quel workshop sono riduttivi perché, come correttamente evidenziato nell’articolo, riguardano solo la tassazione DIRETTA sulle banche.
Ma anche quella indiretta le fa subire uno svantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, visto che non è un mistero per nessuno che la tassazione sul lavoro in Italia sia anch’essa più significativa della media europea.
P.S. Non sono mai stato un bancario né voglio esserlo, ma mi dà molto fastidio che le aziende di credito vengano maltrattate dall’opinione pubblica ed i loro lavoratori vengano trattati come soggetti da non tutelare, come se fossero lavoratori di serie B.
La tassazione delle banche non mi sembra significativamente diversa da quella del resto dell’economia, visto che nel 2008 le entrate fiscali erano pari al 43.2% del PIL (vedi ad es. qui).
In materia di tassazione delle imprese (e in particolare delle banche) sono del tutto ignorante; ma se, come per le persone fisiche, l’imposta ha un termine “progressivo” (ovvero l’aliquota su scaglioni elevati di profitto e’ superiore a quella su scaglioni piu’ bassi), puo’ darsi che l’aumento della pressione fiscale rispetto agli anni precedenti sia semplicemente dovuto.. all’aumento dei profitti (ricordiamo che stiamo parlando del 2008, che se ben ricordo e’ stato un ottimo anno per le banche italiane)!
Per quel che riguarda la competizione con le banche estere, a me risulta che i profitti vengano tassati “in loco” (per lo meno in teoria; in pratica e’ possibile che riescano a “dirottare” una parte dei profitti nello Stato con il regime fiscale piu’ favorevole – sia questo l’Italia, il Paese “di origine” o un Paese terzo come il Lussemburgo; ma gli stessi “trucchi” contabili sono sicuramente accessibili anche alle banche italiane). Per cui se una banca estera (che so, ING) viene in Italia a fare concorrenza alle “nostre”, non credo proprio che abbia vantaggi significativi dal punto di vista fiscale.
Idem (anche se al contrario) se una banca italiana decide di espandersi in un Paese estero.
Insomma, ok non demonizzare le banche; ma non mi sembra che queste siano penalizzate rispetto al resto degli italiani; perlomeno non sulla base di una pressione fiscale superiore dello 0.8% alla media italiana (e a quanto capisco, negli anni precedenti la pressione fiscale sulle banche era nettamente inferiore a quella media).
Quanto a quel che dice LUCA BURACCHI… il fatto che le banche diano lavoro a tanta gente non mi sembra cosi’ positivo: semplicemente perche’, da cliente, vorrei che i costi fossero minimizzati.
Confrontando due luoghi in cui ho vissuto, il mio comune di nascita (Vimercate, prov. di Milano, 25.000 abitanti) ha 27 sportelli bancari (vedi http://www.comuni-italiani.it/108/050/banche/), pressappoco come Groningen (Paesi Bassi, 180.000 abitanti; non ho contato gli sportelli ma sono pronto a scommettere che siano fra 20 e 30): e’ vero che lo sportello olandese medio e’ piu’ grande di quello italiano; ma la differenza non compensa certo la differenza di un fattore 7 nel numero di abitanti (che si suppone sia proporzionale al n. di cc)! E garantisco che la differenza si sente in termini di spese, tassi di interesse e condizioni.