Una importante componente delle difficoltà attraversate dalla crisi in Italia è data dalla contrazione dell’export. In questo senso, è vero che la crisi in Italia è in una certa misura “importata”, e cioè dovuta al fatto che alcuni importanti paesi target delle esportazioni italiane abbiano incontrato difficoltà e quindi ridotto la domanda verso il nostro Paese. Non si tratta chiaramente dell’unica causa della crisi (e anche se fosse, sarebbe indice di debolezza del sistema economico italiano), ma è certamente un fattore importante, se si considera che nel 2008 le esportazioni pesavano per poco meno del 29% del PIL.
Andando a vedere il dettaglio per tipologia di bene, si nota come sono stati soprattutto i semilavorati e i beni strumentali a soffrire maggiormente, a dimostrazione che la contrazione dell’export è da imputarsi ad un rallentamento della produzione e degli investimenti nei paesi di destinazione.
Se andiamo a vedere invece le importazioni per tipologia di bene, questo trend di sofferenza di semilavorati e i beni strumentali, piuttosto che di beni di consumo, appare ancora più deciso: è corente con uno scenario in cui le aziende tagliano le produzioni e gli investimenti perché si contrae la domanda estera, ma la domanda interna rimane relativamente più stabile.
Andando a vedere il dettaglio delle esportazioni nei paesi UE, si nota come la “sofferenza” sia abbastanza uniformemente diffusa tra i diversi paesi dell’Unione, anche se chiaramente le difficoltà di paesi come Germania o Francia si fanno sentire maggiormente, se non altro per il peso che hanno nelle esportazioni italiane.
Questo ruolo delle esportazioni nella crisi è per molti versi altamente critico: se da un lato a qualcuno può dare la soddisfazione di poter dire “in fondo la crisi non è colpa nostra”, resta il fatto che si tratta di elementi su cui è difficile intervenire con politiche di sostegno, in quanto dipende soprattutto dagli stimoli economici nei paesi di destinazione delle esportazioni. Val la pena però di evidenziare la strategia di sempre più aziende, e cioè di puntare sui mercati emergenti (Cina in primis), vedendoli quindi non più solo come concorrenti per la produzione, ma anche come possibili mercati di sbocco (anche considerato come il numero di persone ad alto reddito, per quanto percentualmente ridotto, è estremamente significativo in numeri assoluti).
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