Durante una vacanza in Croazia, l’austriaca Sandra Krautwaschl è rimasta colpita da quanto spesso i suoi tre figli le hanno chiesto da dove venisse “tutta quella spazzatura che c’è nel mare”.
Da lì è nata la sua personalissima crociata per una vita senza prodotti in plastica o confezionati dentro alla plastica. Una decisione meno facile di quel che si può pensare a prima vista: niente plastica vuol dire non solo niente sacchetti, ma anche niente computer, niente cellulare (e molto altro, dato che i materiali plastici sono utilizzati nei settori più disparati). Anche un semplice spazzolino da denti, senza plastica può essere una sfida.
La donna ha avviato una campagna di sensibilizzazione per fare capire che la plastica è prodotta a partire dal petrolio e che servono centinaia di anni perché si deteriori nell’ambiente.
Per quanto la sua opera di sensibilizzazione sia unanimemente apprezzata, gli esperti mettono in guardia dalle idee semplicistiche: per valutare l’impatto ambientale di un prodotto serve guardare a tutto il “ciclo di vita” e non solo ai materiali di cui è composto. Ad esempio, sarebbe sciocco pensare che le lampadine tradizionali siano meglio di quelle a basso consumo perché le prime “non contengono plastica”, dato che il minor consumo delle seconde ampiamente compensa gli aspetti negativi.
Il problema, sottolineano gli esperti di questioni ambientali, è l’efficienza nell’uso delle risorse energetiche e naturali: il grosso problema della plastica è che non viene recuperata e riciclata come si dovrebbe, ma spesso addirittura gettata nei campi o in acqua (dove però non si degrada). Come sottolinea qualche esperto: è un problema di cultura, prima che di materiali.