Una delle linee guida dell’attività del governo è il graduale spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette, come è esplicitato anche nell’Atto di indirizzo sulla politica fiscale per il 2012-2014. In altre parole, spostare il peso da IRPEF, IRES, IRAP a IVA, accise, bolli, ecc.
A nostro parere però questa è una strategia che se può essere efficace nel lungo periodo, ma ha molte controindicazioni specie nel breve-medio periodo.
Un primo aspetto, secondario ma da non trascurare, è che le imposte indirette sono più facili da evadere, almeno su alcuni tipi di transazione. Inoltre imposte indirette più alte incentivano l’evasione, dato che c’è un maggiore il compratore (che, ricordiamo, non dovrebbe essere considerato “vittima” di una transazione senza IVA ma piuttosto complice).
Il secondo aspetto, molto più importante, è probabilmente che la struttura fiscale dovrebbe incentivare i consumi, dato che se non c’è una adeguata domanda allora anche l’offerta si deve contrarre (tradotto: le imprese producono meno, hanno bisogno di meno personale). Sostenere i consumi potrebbe innescare un circolo virtuoso in cui una maggiore domanda porta ad una maggiore offerta, con maggiore occupazione e redditi più elevati, che potrebbero aumentare a loro volta i consumi.
Da questo punto di vista, in astratto avrebbe senso disincentivare il risparmio a favore dei consumi, dato che i soldi messi “sotto al materasso” rappresentano comunque risorse che vengono almeno temporaneamente sottratte al circolo dell’economia e vengono lasciate almeno in parte improduttive. Da questo punto di vista, avrebbe dunque senso preferire ad un aumento dell’IVA una patrimoniale sui capitali lasciati improduttivi.
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