Economia e Finanza

Ma l’Articolo 18 serve ai lavoratori o ai sindacati?

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La domanda è chiaramente provocatoria, ma la non è del tutto peregrina. Il dibattito sulla riforma del lavoro appare infatti centrata sulla riforma dell’Articolo 18 che però francamente non ci pare il focus reale del problema del lavoro in Italia.
Partiamo da un dato fondamentale, e cioè in cosa consista effettivamente la riforma dell’Articolo 18: in caso di licenziamento non per giusta causa, l’impresa non sarebbe più tenuta al reintegro del lavoratore, ma questi potrebbe venire risarcito “solo” economicamente. Il virgolettato è perché il risarcimento partirebbe da un minimo di 15 mensilità, che non sono oggettivamente un “calcio nel sedere”, né un costo irrisorio per l’impresa. Parlare di “licenziamenti facili” ci sembra insomma quantomeno un’estremizzazione.
Tanto più che attualmente l’articolo 18 non si applica a tutte le imprese, ma solo a quelle con più di 60 dipendenti. In Italia ci sono (dati ISTAT 2007) 4.401.827 imprese, con una media di 3,9 addetti per impresa: non sembrerebbe dunque che l’articolo 18 sia una questione che riguardi la generalità dei lavoratori come spesso viene presentato.
Ci sono, a nostro parere, problemi più concreti e più reali nel mondo del lavoro, ad esempio sarebbe interessante qualche riflessione su questi temi:


  • la “castizzazione” dei lavoratori, che sembrano sempre più destinati a dividersi in dipendenti di grandi imprese, dipendenti di piccole imprese (un po’ meno tutelati), e precari (pseudo-contratti a progetto e pseudo partite IVA, con tutele nulle o quasi).
  • il “ritrovare” lavoro, dato che sarebbe importante non soltanto (o non tanto) impedire che il lavoratore perda il lavoro, ma attivare dei meccanismi che aiutino concretamente chi è rimasto senza la voro a ritrovarne uno. La necessità, per certi versi, ci sembra quella di superare la solita mentalità di “mantenimento dello status quo” che è diffusa in Italia: appare perfettamente naturale lottare per impedire che chi ha un lavoro lo perda (così come in fondo a molti non suona neppure così strano che un disoccupato rimanga tale), ma sarebbe il caso di iniziare a chiedersi se invece di concentrare tanti sforzi sul “non perdere” il lavoro, questi non darebbero migliori risultati se concentrati sul “trovare” lavoro.

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2 commenti

  • Ultimamente su questo blog si sentono solo parole “blasfeme” e soprattutto DI PARTE e non corrette.
    L’articolo 18 non si applica alle imprese con meno di 15 dipendenti non 60!!!
    E poi quarda i dati della CGIA di Mestre. L’articolo 18 riguarda oltre il 65% dei dipendenti italiani ma il 3% delle aziende.
    Ma quali medie vuoi fare?
    Umano troppo Umano…

  • Il dato sul numero di lavoratori è preso da qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Articolo_18_dello_Statuto_dei_Lavoratori
    Ad ogni modo, il senso non cambia: sarà anche il 65% dei lavoratori, ma perché deve essere privilegiato rispetto al restante 35%?
    Credo che descrivi correttamente la situazione dicendo come questa un’idea “blasfema”: l’Articolo 18 è una questione di religione, non di sostanza.
    Aggiungo però anche che siccome tanto la questione è solo fumo negli occhi, e di impatto in realtà minimo, tanto vale lasciare l’Articolo 18 così com’è, dato che crea solo motivi di contrasto sostanzialmente inutili.