Negli ultimi anni è cresciuto in modo notevole il numero di investitori in commodity, materie prime, incluse quelle agricole. L’effetto di questo incremento della domanda “speculativa”, intendendo con questo la domanda da parte di chi non è interessato al prodotto agricolo per utilizzarlo in un processo produttivo, ma unicamente lo acquista (o meglio, tipicamente ne acquista i futures) al solo scopo di trarne un profitto dalle variazioni di prezzo.
Tradizionalmente, si è sempre ritenuto che la presenza di investitori finanziari fosse benefica per il mercato, incrementando la liquidità e facilitando la formazione dei prezzi. Negli ultimi anni, proprio guardando al mercato delle commodity, questa tesi è stata messa in dubbio, con molti analisti sempre più convinti che in realtà un’attività eccessiva degli operatori su questi mercati finisca invece con il generare inefficienze, aumentando invece la volatilità e creando un disallineamento tra le quotazioni e i prezzi che invece sarebbero giustificati dai “fondamentali”.
Uno studio ha approfondito la questione, individuando che l’effetto della domanda “finanziaria” può essere diametralmente opposto a seconda dello strumento e della tipologia di investitore:
I risultati dei test di causalità indicano che le posizioni in derivati dei money managers seguono i movimenti dei prezzi dei futures anziché determinarne l’andamento, mentre gli investimenti degli swap dealers appaiono meno collegati alla dinamica delle quotazioni e sembrano piuttosto rispondere a una logica di diversificazione del rischio di portafoglio.
La stima del modello GARCH, che mostra la presenza di eteroschedasticità condizionata dei rendimenti in tutti i mercati analizzati, conferma il diverso ruolo delle due tipologie di operatori esaminati: gli investimenti dei money managers hanno un effetto stabilizzante, riducendo la volatilità dei prezzi futures, mentre quelli degli swap dealers accentuano le fluttuazioni di breve periodo dei rendimenti, almeno per alcuni mercati.
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