A fronte della situazione economica-finanziaria difficile degli ultimi mesi, molti investitori hanno deciso di puntare sulle commodity. Le commodity (materie prime, metalli, petrolio, prodotti agricoli) infatti sono considerate da molti un elemento “concreto” che può proteggere da rischi di natura più strettamente finanziaria, specie legati a ipotesi di crisi monetarie (la logica, semplificata: se ho euro e gli euro si svalutano, perdo valore, se invece ho grano, se l’euro si svaluta il grano manterrà il valore reale — aumentando quello nominale).
In realtà però l’investimento in commodity non è esente da rischi. In particolare, nell’ultimo periodo le commodity sono state caratterizzate da una elevata volatilità (più elevata di quella che caratterizza normalmente questo tipo di investimento). A fare crescere la volatilità ci sono fondamentalmente due fattori. Il primo è la domanda “speculativa” (intendendo con questo la domanda di chi non è interessato all’acquisto della commodity a scopo “di utilizzo”, ma di investimento), che spesso tende a creare un incremento della volatilità, dato che l’inizio di una discesa o di una salita possono generare interesse (o disinteresse) da parte degli investitori, che con i conseguenti acquisti o vendite vanno ad amplificare il trend.
Nella situazione attuale, c’è anche una elevata tendenza degli investitori a ragionare nel breve periodo, seguendo le evoluzioni politiche dei vari paesi e di conseguenza investendo secondo quella che percepiscono come necessità di “rifugio”.
Ma a contribuire alla volatilità c’è anche la situazione economica reale, che influenza la domanda industriale di molte commodity. Non parliamo solo dell’Europa, per quanto sia al centro dell’attenzione attualmente, ma soprattutto degli USA, la cui ripresa è ancora tutt’altro che solida.
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