Luca Terruzzi, Gestore Obbligazionario Anima, discute dei titoli di stato, che fino ad oggi erano considerati strumenti completamente privi di rischio, toccando anche una domanda importante: fino a che punto i “sicurissimi” Bund tedeschi continuerebbero a rappresentare un bene rifugio anche in caso di crisi dell’euro?
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D1. I titoli di Stato si possono ancora considerare attività prive di rischio?
Da settanta anni, l’intera teoria finanziaria basa le proprie valutazioni sull’assunto che i titoli di Stato di un paese sovrano siano attività prive di rischio e che detenerne una quantità significativa in portafoglio sia – per il risparmiatore avverso al rischio- la strategia difensiva migliore. Oggi non sembra essere più così. La crisi europea ha infatti amplificato la percezione dei rischi di insolvenza di debiti sovrani e, soprattutto, l’ha portata a diretto contatto con i nostri risparmi più protetti.
La cognizione dell’importanza del rischio di credito (cioè che il debitore non sia in grado di rimborsare) non è infatti una novità, ma era finora sempre apparsa il connotato tipico solo di investimenti un po’ temerari in titoli sudamericani o asiatici. Invece, dall’inizio dell’ estate appena trascorsa ha fatto irruzione anche il rischio di credito sui nostri titoli di Stato.
La uniche attività credibilmente “prive di rischio” rimaste sembrano essere i titoli di Stato tedeschi (i Bund) i cui rendimenti sono scesi sotto il 2%, in controtendenza rispetto a quelli dei BTP italiani (che nella scadenza decennale sono invece saliti fino a sfiorare il 6%).
D2. Ma i Bund tedeschi continuerebbero a rappresentare un bene rifugio anche in caso di crisi dell’euro?
Quello che si manifesta come crisi del debito dei paesi periferici è in realtà una crisi generale dell’euro. Che può trovare soluzione solo a livello sovranazionale. perchè nessun governo è in grado di risolvere i propri problemi da solo.
L’ipotesi di una implosione dell’euro, non risparmierebbe infatti nessuno, neppure la Germania. Se i paesi periferici fossero infatti costretti al “default” le banche tedesche e francesi – che detengono ampie porzioni di titoli dei paesi periferici – subirebbero perdite molto rilevanti e dovrebbero per questo essere salvate dai rispettivi governi.
Non solo: se si tornasse a DM, Franco, Dracma, Peseta e Lira, la valuta tedesca si rivaluterebbe istantaneamente di almeno il 30-40% sulle altre, soffocando le esportazioni e la crescita proprio della Germania. Nonostante i proclami, il governo tedesco è quindi il primo a sapere che l’euro deve essere preservato ad ogni costo.
Da tempo i mercati segnalano che la soluzione non può stare solo in feroci tagli fiscali nei paesi deboli. I tagli riducono i deficit pubblici, ma nel contempo deprimono il Pil. Per questo i differenziali di tasso rispetto alla Germania di Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia continuano a rimanere molto ampi: Questa consapevolezza mantiene gli investitori in allerta ed i premi al rischio alti.
Per recuperare fiducia e stabilità sui mercati, ci vogliono tassi medi più bassi anche per i paesi periferici e ragionevoli prospettive di crescita del Pil.
D3. Come si realizza questa condizione di tassi più bassi e maggior crescita economica?
La possibilità di tassi più bassi anche per paesi periferici in difficoltà può essere garantita ormai solo dai cosiddetti Eurobonds (cioè da titoli garantiti dai paesi “forti” che sostituiscano i titoli dei paesi “deboli”). Le prospettive di crescita possono invece essere propiziate da politiche monetarie più espansive da parte della BCE e da politiche fiscali pan-europee coordinate.
Il 28 settembre scorso, il parlamento tedesco, ha alla fine approvato l’EFSF. L’EFSF è un veicolo che può emettere propri titoli (Eurobonds) garantiti da 16 stati europei fino ad un ammontare di 440 miliardi di Euro e poi utilizzare i fondi raccolti per sostenere Stati o banche in difficoltà. La dotazione di 440 miliardi dell’EFSF è sicuramente adeguata per salvare Grecia, Portogallo e Irlanda, ma del tutto insufficiente per immunizzare anche grandi paesi come Italia e Spagna. L’EFSF non è quindi la soluzione definitiva, ma va certo nella giusta direzione.
Vi è poi un altro elemento di novità. Oggi i tedeschi pongono come pre-condizione per aumentare la potenza di fuoco dell’EFSF proprio un maggiore coordinamento e “centralizzazione” della governance fiscale europea: per la prima volta, cioè, le condizioni poste dal governo tedesco non agiscono da freno, ma da potenziale acceleratore dell’integrazione europea.
La mancanza di alternative ha già tracciato la strada. Sta ai governi trovare la determinazione per percorrerla in fretta.
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