Armando Carcaterra di Anima SGR approfondisce la situazione economica greca, che molti giudicano “disperata”. Eppure, la preoccupazione per i conti dell’Italia (un cui default sarebbe disastroso in termini di ripercussioni a livello europeo e globale, per le maggiori dimensioni dell’economia e del debito) potrebbe cambiare le carte in tavola, spingendo verso la creazione in tempi brevi di una maggiore integrazione finanziaria a livello europeo, tutelando così i Paesi più “deboli”.
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Come mai la situazione greca appare senza via d’uscita?
Per molti versi, la crisi greca sembra ormai “Comma 22” un famoso e vecchio film del 1970, in cui era presentata una situazione senza vie d’uscita durante la II Guerra Mondiale. [NdR: Durante l’ultima guerra, in una base americana, ai piloti venivano ordinate azioni pazzesche, ma, secondo il “comma 22”, l’unico modo per i piloti in servizio sui bombardieri di essere esonerati dal volo era dichiararsi pazzi. Ma i veri “pazzi” erano quelli che accettavano di volare in quelle condizioni. Per il comandante coloro che chiedevano l’esonero invocando il “comma 22” non erano quindi veri “pazzi”, ma sani e l’esonero non veniva mai concesso. Se fossero stati davvero “pazzi” avrebbero infatti dovuto chiedere di volare, non di essere esonerati.]
Da quasi 2 anni, per ottenere gli aiuti finanziari europei, di cui ha disperatamente bisogno, la Grecia si è impegnata in politiche di austerità draconiane, che però hanno l’effetto perverso di aggravare la recessione economica, rendendo la situazione finanziaria ancora più instabile.
L’idea tedesca che la sola austerità fiscale sia sufficiente a ristabilire l’equilibrio finanziario si è rivelata sbagliata. Essa è risolutiva solo se consente di ridurre i tassi di interesse richiesti dal mercato al di sotto del tasso di crescita del Pil. Se però – come nel caso greco – l’austerità provoca un avvitamento al ribasso del Pil (e, di conseguenza, anche delle entrate fiscali) – i mercati non si fidano e continuano a richiedere tassi di interesse più elevati, per pagare i quali devono essere contratti nuovi debiti. Se il debito cresce ed il Pil cala, la situazione diventa insostenibile. E alla lunga porta al “default”, al “fallimento”.
Su chi si riverserebbero le conseguenze di una dichiarazione di default da parte della Grecia?
Per la Grecia l’ora di dichiarare il “default” è probabilmente già scoccata, ma le possibili conseguenze di un evento del genere spaventano tutti. In primo luogo, Germania e Francia, le cui banche detengono la maggior parte dei titoli greci, e anche la Banca Centrale Europea, che li ha accumulati in azioni di sostegno sul mercato e teme possibili contagi ad altri paesi. Il “fallimento” della Grecia potrebbe avere impatti sistemici imponderabili sui sistemi bancari europei e potrebbe scatenare una crisi dell’euro.
Negli ultimi giorni, la sfiducia dei mercati si è addirittura pericolosamente estesa anche all’Italia, che finora era stata invece risparmiata dagli attacchi speculativi. L’Italia ha il debito pubblico più grande d’Europa. Tutti pensano che, se un grande paese come l’Italia dovesse essere messo in ginocchio, l’euro non potrebbe sopravvivere.
Il materializzarsi del rischio di un collasso italiano potrebbe però fare il miracolo. Far compiere cioè ai governi europei quel passo che nessuno ha avuto il coraggio di fare negli ultimi 2 anni: accelerare sulla strada dell’integrazione finanziaria europea.
Come si arriva a questa possibile soluzione?
Senza entrare in dettagli, si tratta di dare la possibilità all’EFSF (European Financial Stability Facility), la nuova agenzia creata l’anno scorso proprio per salvare la Grecia, di emettere obbligazioni “pan-europee” garantite dai governi e di consentire agli investitori privati di scambiare i titoli dei paesi in difficoltà con queste obbligazioni “continentali”. Questa possibilità è stata fino ad oggi preclusa dal divieto per l’EFSF di acquistare titoli sul mercato secondario ma, se il divieto venisse rimosso, si creerebbero le condizioni per la nascita di un unico grande mercato di titoli europei di alta qualità (cioè garantiti dall’insieme dell’Europa). I paesi in difficoltà non sarebbero più soli di fronte alla speculazione.
Questa era la soluzione che a molti, tra cui Banca Centrale Europea, appariva inevitabile fin dall’inizio della crisi. Soluzione avversata, però, da sempre dal governo tedesco. Paradossalmente – ormai ad un passo dal punto di non ritorno – sembra che proprio il governo tedesco stia ora riconsiderando questa ipotesi.
Non è detto dunque che la paura generi sempre solo “mostri”.