Economia e Finanza

Giovani: la generazione esclusa

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Fabrizio Saccomanni, Direttore Generale della Banca d’Italia, è intervenuto qualche giorno fa al convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria, con un intervento dedicato alle prospettive per i giovani nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Ci sembra importante il fatto che Saccomanni abbia intitolato il suo intervento “La generazione esclusa: il contributo dei giovani alla crescita economica”, che sintetizza fin da subito le problematiche che i giovani hanno a collocarsi professionalmente.
Prima di riportare alcuni passi dell’intervento, ci teniamo a ricordare come già in passato abbiamo ripetuto come secondo noi i giovani abbiano un ruolo di primo piano nella crescita e nel benessere economico di un paese: questo perché la crescita si basa sull’innovazione, e l’innovazione la fa chi ha idee nuove, e le idee nuove — spesso — ce le hanno i giovani.
 


Le  chances di contribuire pienamente  allo sviluppo dell’economia sono ridotte non solo per i giovani  lavoratori, ma anche per i giovani imprenditori. Un’allocazione efficiente dei talenti imprenditoriali è requisito fondamentale per una crescita economica sostenuta. Chi vuole diventare imprenditore, per trasformare le proprie idee in azioni, deve poter contare su un humus istituzionale favorevole.
La nascita di imprese innovatrici estende la gamma di beni e servizi disponibili sul mercato, genera occupazione, accresce la concorrenza e, attraverso l’innovazione tecnologica, favorisce l’incremento della produttività. È più probabile che queste imprese siano dirette da imprenditori con meno  di 40 anni. Lo suggeriscono non solo l’evidenza empirica ma anche l’esperienza quotidiana.
In Italia gli imprenditori innovatori sono in numero minore rispetto ad altri paesi.Gli imprenditori a capo di  imprese che hanno almeno 3 anni e mezzo di vita sono meno giovani che negli altri paesi; solo il 2 per cento si colloca nella classe di età tra i 18 e i 24 anni. In Italia le imprese appena nate mostrano prospettive di crescita più basse, ancora minori se il proprietario ne è anche il manager.
Secondo i risultati di un’indagine campionaria su imprese manifatturiere con almeno dieci addetti il management delle imprese italiane è relativamente anziano: oltre la metà dei dirigenti ha più di 55 anni; è il 40 per cento circa nella media europea. Quelli giovani sono pochi; in quattro casi su cinque appartengono alla famiglia proprietaria. È perciò meno diffusa in Italia quell’attitudine alla capacità innovativa che caratterizza in genere i giovani imprenditori.

[…]
Dedico ai giovani una riflessione conclusiva.  Nel momento in cui si affacciano al mondo del lavoro essi devono  poter trovare un quadro meno incerto sulle prospettive future. Va superato
il dualismo iniquo e inefficiente del mercato del lavoro. Il sistema di istruzione ancora non garantisce conoscenze e competenze adeguate al nuovo contesto competitivo globale; ne va rafforzato il nesso con il mondo del lavoro. La riforma dell’apprendistato avviata dal Governo può utilmente conciliare attività di lavoro ed esperienze di studio.

Vanno creati i presupposti per favorire la nascita di nuove aziende e per far crescere quelle esistenti, superando ove occorra una visione restrittiva della gestione familiare. Non è compito facile, perché riguarda la stessa cultura imprenditoriale del nostro paese.  Si creerebbero le condizioni per consolidare la fiducia delle imprese, stimolare la capacità innovativa degli imprenditori, favorire il contributo dei giovani alla crescita dell’economia.

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1 commento

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