Economia e Finanza

Quanto pesa l’inflazione per i risparmiatori?

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Che l’inflazione pesi sulle tasche dei consumatori è cosa ovvia e nota. Ma quali sono gli effetti dal punto di vista di chi cerca di mettere da parte un po’ di soldi? Armando Carcaterra di Anima SGR spiega gli effetti dell’inflazione per risparmiatori ed investitori.
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D1. Da qualche mese i mercati si sono conviti che il problema dei prossimi anni sarà l’inflazione. È vero?
A guardare le cifre dell’aumento dei prezzi in Eurolandia sembra una preoccupazione per ora eccessiva. Nel corso del 2010, nonostante la crescita del prezzo di energia e beni alimentari, l’inflazione al consumo complessiva (la c.d. “headline inflation”) dell’Eurozona, si è attestata su una media dell’1,6% e l’inflazione “core” (quella a netto delle materie prime ed alimentari) è rimasta su livelli davvero molto bassi (1%). Nei primi mesi del 2011, però, l’economia europea (soprattutto quella tedesca) ha sorpreso per la forza delle sua ripresa e ci sono stati anche sintomi di moderata accelerazione dei prezzi. Nel primo trimestre l’inflazione annua dell’Eurozona è stata infatti del 2,6%, tuttavia la “core inflation” è rimasta sostanzialmente stabile, segnalando che la causa dell’aumento dei prezzi è ancora tutta da imputare al rincaro delle materie prime. A scanso di equivoci, la BCE ad aprile 2011 ha lievemente alzato i tassi ufficiali (dall’1% al 1,25%) con l’intento di evitare che l’aumento dei costi delle materie prime possa trasferirsi anche sui prezzi degli altri beni (cioè sull’inflazione “core”).
I mercati finanziari restano scettici nel lungo periodo. Da una parte in Cina, India e Brasile i prezzi interni aumentano, sospinti dalla crescita economica esuberante e da massicce importazioni di capitali; dall’altra le politiche monetarie dei paesi industriali (soprattutto quelle della FED) continuano ad immettere liquidità. Come si sa, alla lunga, l’aumento dell’offerta di moneta provoca anche proporzionali aumenti dei prezzi dei beni.
D2. Quali sono quindi le forme di investimento che meglio si prestano a preservare il valore della ricchezza?
Evidenze suggeriscono che è l’investimento in azioni quello che meglio difende il risparmio dall’erosione dell’inflazione nel lunghissimo periodo. Dieci anni fa Jeremy Siegel, professore della New York University, aveva mostrato che – nell’arco di due secoli (dal 1801 al 2001) – 1 dollaro reinvestito di anno in anno in azioni avrebbe reso in media annua il 6,9% al netto dell’inflazione, mentre il medesimo dollaro investito in titoli obbligazionari avrebbe reso in media annua (sempre in termini reali) meno della metà: tra il 3% dei titoli a breve e il 3,5% di quelli a medio-lungo termine. Nell’arco dei due secoli considerati, l’oro – che non paga cedole né dividendi – si era invece limitato a seguire passo passo l’inflazione, con un rendimento depurato dell’inflazione praticamente nullo.
Altri studi, invece, hanno mostrato che – su orizzonti di investimento più corti – i titoli azionari non riescono a tenere il passo con l’inflazione. Materie prime e BOT sembrano infatti comportarsi decisamente meglio nel breve e medio periodo.
Il Fondo Monetario Internazionale applicando tecniche econometriche avanzate ha mostrato che, di fronte ad un aumento inatteso dell’inflazione, il rendimento reale delle azioni scende negli anni immediatamente successivi allo shock inflazionistico, comportandosi in modo non molto dissimile dalle obbligazioni a lungo termine.
Al contrario la performance reale delle materie prime reagisce positivamente allo shock inflazionistico; lo fa tuttavia solo nel breve periodo (2 anni), poi anche le materie prime tendono a soffrire una graduale erosione di valore reale.
D3. Che lezione possiamo trarre da queste evidenze?
Le evidenze di Jeremy Siegel sulla superiorità delle azioni implicano un lungo periodo, senza movimentazioni di portafoglio (una strategia “cassettista”). L’ampiezza del periodo rischia, però, di essere troppo lungo.
Le analisi del FMI mostrano al contrario che su orizzonti più brevi , di fronte a sorprese inflazionistiche, è bene movimentare il portafoglio, spostandosi su asset class che meglio reagiscono allo shock. Le recenti performance dell’oro e delle materie prime sembrerebbero implicitamente confermarlo.
L’investimento che tende a preservare meglio il valore reale della ricchezza è rappresentato dai titoli di Stato a breve e brevissimo termine, il cui rendimento riesce meglio degli altri ad adeguarsi di anno in anno al tasso di inflazione.
Affidarsi alla gestione di professionisti e diversificare il proprio portafoglio, come avviene nei fondi comuni, rappresenta comunque una strategia saggia per tutte le stagioni, compresi gli shock inflazionistici.

 

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2 commenti

  • Non credo che il problema sarà tanto l’aumento dei prezzi dei beni, quanto la diminuzione dei salari dei lavoratori. Probabilmente prezzi dei beni resteranno stabili, solo che sempre meno persone potranno permettersi di acquistarli; ma quelle poche ne compreranno di più, quindi per il mercato non dovrebbe cambiare molto.

  • Non è comune che i salari in valore nominale diminuiscano: di solito è il valore reale che diminuisce, con i salari che non aumentano quanto i prezzi.