L’outlook negativo di Standard&Poor’s sul debito americano, il cui rating AAA è stato messo in discussione, è un evento che ha colpito molto i mercati. Gianluca Ferretti di Anima SGR commenta e analizza quanto accaduto.
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D1. Standard&Poor’s ha messo in discussione il rating AAA del debito americano. Come è potuto succedere?
Il 18 aprile scorso, per la prima volta nella storia, l’agenzia di rating Standard&Poor’s ha messo in discussione il rating tripla AAA (che è il voto più alto) del debito pubblico americano. È un fatto senza precedenti che segnala non solo le difficoltà degli Stati Uniti di trovare un percorso credibile di uscita dalla crisi, ma che sottolinea l’ancora irrisolta precarietà della situazione finanziaria internazionale.
Da Bretton Woods in poi la solidità del debito americano non è mai stata messa in discussione: lo status incontrastato di moneta di riserva internazionale del dollaro ha sempre garantito agli Stati Uniti l'”esorbitante privilegio” di poter trasferire i suoi problemi ai paesi creditori. La decisione a sorpresa di S&P è forse un segno della declinante egemonia economica statunitense o forse è soltanto il segnale mandato a Governo e Congresso americani perché trovino rapidamente un accordo sui necessari aggiustamenti di bilancio. Tuttavia l'”esorbitante privilegio” del dollaro perdura. Gli impatti della notizia sono stati infatti pressoché insignificanti sul mercato dei titoli di Stato americani, ma sono rimbalzati con forza su quelli europei. È l’Europa infatti che deve ancora fare i conti con i problemi più spinosi.
Nonostante gli sforzi titanici già messi in campo nell’ultimo anno per correggere gli squilibri delle loro finanze e delle loro economie, Grecia, Irlanda e Portogallo appaiono camminare da mesi sull’orlo del baratro. Nel caso della Grecia, i mercati stimano ormai addirittura al 70% la probabilità che in un modo o nell’altro il debito greco debba essere ristrutturato. Del resto, la semplice logica – prima ancora che la teoria economica – suggerisce che quando gli interessi sul debito sono molto alti (10% in Portogallo, 20% in Grecia) e le prospettive di crescita del reddito sono basse o negative, la situazione tende inevitabilmente ad avvitarsi verso l’insostenibilità. In questo quadro, politiche fiscali sempre più severe – anziché risolvere – aggravano la situazione, perché deprimono sempre di più le prospettive di crescita, confermando l’idea che non vi saranno in futuro risorse sufficienti per pagare gli interessi. È un circolo vizioso che i governi europei non sono ancora riusciti a spezzare, nemmeno con l’istituzione di un fondo di salvataggio da 750 mld di euro (EFSF o European Financial Stability Facility).
Perché mai tutto questo non basta?
Il diavolo sta nei dettagli e gli investitori sono molto attenti ai dettagli. E guardando le cose da vicino, si scopre ad esempio che l’ESM, lo European Stability Mechanism, entrerà in vigore nel 2013 e verrà pienamente capitalizzato solo nel 2017. Inoltre, gran parte della dotazione di capitale dell’ESM non verrà versata dagli stati membri, ma solo “garantita” su richiesta. Il che garantisce una cosa sola: il contagio tra stati diversi. Facciamo un esempio: l’Italia per ogni 100 mld di “salvataggio” di un altro stato membro, dovrà versarne 18: cioè ogni 100 mld di “salvataggi” europei l’onere per l’Italia sarà un aumento del proprio debito pari all’1% del suo Pil. L’Italia dovrebbe cioè aumentare il suo debito proprio nel momento peggiore (in cui è cioè in atto un attacco speculativo ed i tassi salgono).
Infine, le decisioni di “salvataggio” dell’ESM devono essere prese all’unanimità. Per questo anche l’esito elettorale di un piccolo paese come la Finlandia, in cui crescono i voti del partito “anti-salvataggi”, diventa un fatto di enorme rilevanza per i mercati.
Per capire quando la turbolenza sui debiti sovrani si calmerà non basta quindi guardare alle finanze pubbliche dei singoli paesi, bisogna soprattutto guardare all’efficacia ed alla credibilità dei rimedi che i governi cercano di porre in atto a livello europeo.