L’occupazione negli USA è ancora lontana da una condizione ottimale. Soprattutto se si va a vedere il livello di “sotto-occupazione” (cioè contando anche i lavoratori che hanno un lavoro part-time ma vorrebbero un lavoro full-time che però non trovano). La durata media della disoccupazione ha raggiunto le 37 settimane, che è il record dal dopoguerra. Un problema che coinvolge milioni di persone, aggravato da un sistema di “assistenza sociale” che è piuttosto debole.
Eppure, il problema della disoccupazione non appare centrale, nel dibattito economico-politico USA. Paul Krugman analizza il problema, ed arriva a conclusioni molto simili alle osservazioni che abbiamo fatto anche noi sulla situazione italiana.
In sostanza, il punto è che la disoccupazione è causata dal fatto che ci sono poche assunzioni, e non da molti licenziamenti.
Mentre “perdere il lavoro” è una situazione che fa sentire la necessità di intervento (l’idea è che il governo debba fare qualcosa), “non trovare lavoro” è percepito un problema di importanza minore (se il governo fa qualcosa, è “qualcosa in più”).
Sembra mancare, anche negli USA, una politica per il lavoro di ampio respiro e che affronti i problemi concreti. Anche perché, come sottolinea Krugman, “il pericolo reale per le nuove generazioni di americani non è il deficit, è l’assenza di posti di lavoro”.
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