Il Vice Direttore Generale Anna Maria Tarantola è intervenuta il 18 febbraio scorso al convegno “Profili della regolazione e valori della cooperazione“, organizzato a Bari dall’Istituto Centrale delle Banche Popolari. Alcuni passaggi dell’intervento (centrato sui profili della regolamentazione e della vigilanza, ma anche sul “valore della cooperazione”) meritano di essere riportati.
Il primo riguarda il modello cooperativo in relazione al tema della sostenibilità
Il modello cooperativo di organizzazione di impresa nasce per venire incontro alle esigenze dei più deboli, sulla base di una visione solidaristica del mercato che non nega il profitto, ma lo integra con obiettivi di responsabilità sociale. Ne scaturisce una visione dell’impresa ispirata alla valorizzazione degli interessi dei soci, dei dipendenti, dei clienti e del territorio. Si tratta, a ben vedere, dei principi cardine su cui si fonda il benessere delle comunità, principi che dovrebbero essere di guida per tutti gli operatori, soprattutto nella presente, difficile situazione economica.
Il secondo passaggio riguarda le problematiche delle piccole banche, che rischiano di essere meno efficienti non essendo in grado di beneficiare di significative economie di scala.
Nell’ultimo decennio le banche popolari hanno attivamente partecipato al processo di concentrazione che ha caratterizzato il sistema bancario italiano. Il numero degli operatori è diminuito da 54 a 37; ciononostante, le quote di mercato sono aumentate dal 16 al 21 per cento per gli impieghi e dal 18 al 28 per cento per gli sportelli; quella dei depositi è rimasta invariata. L’evoluzione non è stata omogenea: l’attuale situazione si presenta infatti fortemente polarizzata.
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Le popolari di minore dimensione, al pari delle banche di credito cooperativo, beneficiano dei legami intensi con le comunità locali, della conoscenza della clientela e della fiducia di quest’ultima. Tali fattori costituiscono una fonte di vantaggio competitivo dato dalla disponibilità di un patrimonio informativo difficilmente accessibile ad altri operatori; si riflettono in un marcato orientamento al sostegno delle economie locali sia attraverso l’erogazione di finanziamenti a imprese e famiglie dei territori di riferimento sia con la destinazione di parte degli utili ad attività sociali.
Negli ultimi anni le popolari “minori” hanno visto peggiorare l’efficienza operativa e la redditività: dal 2007 al 2009 il rapporto tra costi operativi e margine di intermediazione è aumentato di 5 punti percentuali (dal 61 al 66 per cento); mostra un ulteriore lieve 13peggioramento nel primo semestre del 2010. Nel triennio considerato, il ROE è diminuito di 2,5 punti percentuali (dal 5,8 al 3,3 per cento). Questi dati vanno analizzati con attenzione, riflettono la fragilità insita nella piccola dimensione, evidenziano l’esigenza di migliorare l’efficienza operativa e allocativa, di essere banca di comunità essendo al tempo stesso impresa, di saper soddisfare le esigenze del territorio al minor costo e con il minor rischio possibile. Questo processo non facile può essere agevolato avvalendosi dei vantaggi rivenienti dalla attivazione di “reti” nell’ambito
della categoria.
Per completezza, essere più grandi vuol dire, di contro, rischiare di perdere il legame con il territorio.
Le popolari maggiori presentano, al pari delle minori, un cost/income ratio relativamente elevato (65 per cento a settembre 2010), anche se si riscontra una forte dispersione rispetto alla media; per le altre banche l’analogo indicatore – che nel periodo peggiore della crisi aveva sfiorato il 66 per cento – si è ridotto a settembre 2010 al di sotto del 60 per cento. Per questa tipologia di popolari, sono migliori gli indicatori di rischiosità: l’incidenza del credito deteriorato sugli impieghi è passata dal 5,3 al 7,3 per cento nel periodo da fine 2008 al 30 giugno 2010.
Il segmento delle popolari quotate deve confrontarsi con l’affievolimento del rapporto con le comunità locali, del connesso “controllo sociale” sull’operato della direzione e del vantaggio competitivo derivante dal radicamento territoriale. L’ampliamento dell’ambito di operatività espone questo tipo di intermediari a nuove tipologie di rischio; l’incremento della dimensione e del grado di complessità societaria
aumentano le difficoltà di governo, specie per le popolari che hanno assunto la morfologia del gruppo federale.
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