Economia e Finanza

Le prospettive per le imprese italiane nel 2011

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Il nuovo anno si presenta interlocutorio, con la speranza — e qualche segnale — di ripresa, ma anche con la consapevolezza che non tutte le criticità sono state risolte e che se ne aprono altre prima sottovalutate (il “debito sovrano”, ad esempio), e anche che alcune soluzioni hanno anche effetti collaterali (la maggiore “solidità” richiesta alle banche implica anche una minore facilità nel concedere prestiti).
Per capire quali sono le prospettive per il 2011, vale la pena concentrarsi sulla cosiddetta “economia reale”, ed in particolare sulle Piccole Imprese, che sono il nocciolo del tessuto economico italiano, anche se spesso vengono parzialmente trascurate, con l’attenzione che “scivola” verso imprese più grandi. Eppure, in Italia le imprese con meno di 50 addetti sono oltre 5 milioni. Per capire le sfide che queste aziende devono affrontare nel 2011, prendiamo spunto dal Settimo Rapporto UniCredit sulle Piccole Imprese
(intitolato “La ricerca di nuovi mercati: la sfida delle piccole imprese fra cambiamento e tradizione”), pubblicato appena poche settimane fa. Gli imprenditori appaiono incerti riguardo alle prospettive:


I risultati dell’indagine UniCredit sulla fiducia dei piccoli imprenditori effettuata tra giugno e settembre 2010 confermano il perdurare di una situazione di incertezza, legata probabilmente al protrarsi delle difficili condizioni che da più di un anno caratterizzano il contesto dell’economia globale. Rispetto al 2009, l’indice di fiducia sintetico scende di due punti, passando da 93 a 91. Resta alto il divario tra i giudizi espressi sui 12 mesi passati e quelli sui 12 mesi futuri: 78 per i primi, 104 per i secondi, valore quest’ultimo analogo a quello registrato nel 2007, anno precrisi. Uno dei risultati più interessanti riguarda la maggiore fiducia espressa degli imprenditori che svolgono attività internazionale, segno di maggiore solidità di impresa. L’indice di fiducia sui 12 mesi futuri registrato dalle aziende internazionalizzate è infatti pari a 107, superiore di ben 6 punti rispetto alla fiducia espressa dalle aziende non internazionalizzate.

Per comprendere le “sfide” per il 2011, Il fattore chiave è (inevitabilmente) la congiuntura economica, che vede la ripresa in Italia più debole rispetto ad altri Paesi. Ecco allora che la sfida diventa quella dell’internazionalizzazione, dato che l’obiettivo è quello di “sfruttare” la domanda dall’estero (in crescita complessiva), dato che la domanda interna italiana non mostra la stessa vivacità di crescita. Il vero elemento di successo però appare una internazionalizzazione non “tradizionale”, ma mirata ai mercati emergenti, dove i tassi di crescita della domanda sono veramente importanti e presentano grandi opportunità. Tanto che rimanere esclusi da mercati come Cina ed India (che non possono essere considerati solamente “concorrenti”) può essere un errore estremamente pericoloso nel medio termine.
La criticità da affrontare è legata alle dimensioni delle imprese, dato che le piccole imprese hanno in generale difficoltà ad “aggredire” mercati distanti e meno conosciuti, rimanendo solitamente legate ad un esportazione “a medio raggio” (Europa occidentale, che assorbe il 70% delle esportazioni delle PMI italiane).
In altre parole, “da soli è sempre più difficile farcela”, e l’“arte di arrangiarsi” delle piccole imprese italiane inizia a fare pesare la sua inefficienza, anche solo nella ricerca dei partner commerciali: il passaparola, o le ricerche su internet, come anche le fiere, iniziano a fare pesare i propri limiti rispetto a canali più strutturati. Che, va aggiunto, in realtà in Italia non mancano (ci sono, ad esempio, degli ottimi servizi delle Camere di Commercio), ma che in molti casi le piccole imprese ignorano, spesso anche perché questi strumenti non sono adeguatamente pubblicizzati (non ultimo per limitazioni “finanziarie” di molti enti pubblici ed assimilati, che hanno limitazioni stringenti sulla spesa per la pubblicità della loro attività). A questo limite si aggiunge anche il fatto che molte imprese giocano totalmente da sole, senza partecipare a distretti o filiere (secondo l’analisi di Unicredit, solo “il 20,5% delle imprese internazionalizzate intervistate dichiara di appartenere ad un distretto e il 16,7% a una filiera globale. Appena l’8,5% dichiara di appartenere a entrambe queste forme di rete”).
La dimensione costituisce una problematica anche dal punto di vista della patrimonializzazione, dato che le analisi di Unicredit indicano un ricorso eccessivo alla leva finanziaria (il 58,5% delle imprese internazionalizzate presenta una leva superiore al 75%), che come ben sappiamo aumenta anche il rischio cui sono esposte le imprese.
Nonostante queste difficoltà, le opportunità non mancano, a condizione di affrontare quelle che sono le principali “sfide”:

  • miglioramento del rapporto qualità/prezzo, puntando sulla qualità del prodotto italiano
  • conquista della nuova e numerosa classe di consumatori benestanti di Paesi emergenti grazie alle produzioni di beni di consumo di fascia medio-alta. Non è necessario andare lontano, si può puntare ad esempio sui mercati dell’est Europa e del bacino del Mediterraneo.
  • le strategie di marketing e comunicazione

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