La proposta di accordo della Fiat con i lavoratori, che rimette in discussione quelli che erano considerati diritti acquisiti sta (inevitabilmente) alimentando numerose polemiche. La questione non è certo semplice, ed ampiamente dibattuta, per cui ci limitiamo a fare un paio di osservazioni che ci sembrano importanti.
- La prima considerazione è che le esigenze del mercato non possono essere ignorate. E il mercato siamo noi, quando usciamo dal posto di lavoro, e (soprattutto nel contesto attuale) la richiesta di un contenimento dei prezzi — almeno in termini di qualità/prezzo — è decisamente forte. Purtroppo, nessuno o quasi quando fa un’acquisto (che sia un’auto, una casa o un paio di scarpe) è interessato a come è avvenuta la produzione, e a quello che “sta dietro” ad essa. Se uno trova al mercato due magliette simili, una fatta in Italia che magari costa 15 euro perché chi la produce lavora in un certo modo, l’altra che invece costa 2 euro, fatta in Cina da lavoratori sottopagati, facilmente compra quest’ultima, e tanti saluti ai diritti dei lavoratori.
- Nel caso della Fiat, a questo si aggiunge un’altro tema, e cioè che il mercato non può essere solo italiano (anche per una semplice questione di “numeri”), ma deve avere una dimensione almeno europea, se non globale. Se magari l’acquirente italiano può essere disponibile a pagare un sovrapprezzo per sostenere la produzione “italiana”, l’acquirente polacco molto difficilmente lo considererà invece accettabile.
- Quello che però ci sembra l’errore concettuale di fondo a molte delle polemiche è una concezione basata sull’idea “si nasce operai e si muore operai“. In realtà, noi siamo convinti che dovrebbe essere favorito uno sviluppo professionale, che permetta di crescere e svolgere impieghi a maggior valore aggiunto, e quindi meglio retribuiti. In altre parole, per migliorare la condizione delgi operai, forse la strada migliore e più percorribile è quella di aiutarli a smettere di fare gli operai.
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