L’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie, che era stata aleggiata nei giorni scorsi anche dal governo britannico (Germania e Francia già da tempo non sarebbero contrari), sembra ormai messa da parte, dopo il deciso “no” degli USA: infatti una tassa di questo tipo è applicabile solo a livello globale.
Ma la questione merita di essere approfondita, perché è decisamente interessante.
L’idea di base della cosiddetta “Tobin tax” (dal nome dell’economista che ipotizzo per primo una tassa di questo genere) è molto semplice, e cioè di tassare in piccolissima percentuale le transazioni finanziarie su monete, cambi o derivati (nel caso specifico, non era stata fatta comunque una proposta di come “strutturare” la tassa). La tassa dovrebbe avere un peso percentuale molto basso (intorno allo 0,05% — già valori dello 0,5%, come mi sembra di aver visto riportato su qualche giornale, sono del tutto eccessivi), e lo scopo è quello di frenare tutte quelle micro-transazioni (“micro” in termini di tempo), prettamente speculative, che sbilanciano la focalizzazione dei mercati finanziari sul breve termine, e che potrebbe essere efficace anche per limitare il trading automatizzato, messo sotto accusa da alcuni economisti. Si tratta, quindi di uno strumento che può essere molto efficace nello spostare il focus della finanza sul medio periodo, che permetterebbe maggiori garanzie di sostenibilità.
Purtroppo, però, non si può non osservare come una tassa del genere avrebbe anche diversi effetti collaterali. Infatti, quello di cui stiamo parlando di fatto è di ridurre la liquidità dei mercati. Siccome il valore di un bene dipende anche dalla sua liquidità (chè è appunto la possibilità di essere scambiato, in tempi ridotti, con altri beni senza perdite di valore) è intuitivo che c’è il rischio concreto di una sostanziale perdita di valore da parte di alcuni asset, con conseguenti grosse perdite da parte dei mercati finanziari, ma soprattutto di una maggiore difficoltà nel reperire finanziamento — sotto forma di capitale (azioni) o di prestito — per le aziende, con le ricadute che ciò può comportare.
Intendiamoci, si tratta di rischi che potrebbero essere accettabili in cambio di una maggiore stabilità futura dei mercati, ma è ingenuo pensare che l’introduzione di una tassa del genere sarebbe indolore.
Ci sono poi una serie di grosse problematiche “gestionali”, che non sono assolutamente secondarie:
- Chi dovrebbe riscuotere la tassa? Il Paese dove si svolge la transazione? Quello “originario” del soggetto che la compie?
- Si è detto che la tassa dovrebbe servire a creare un fondo per futuri salvataggi di soggetti finanziari: però questi salvataggi dovrebbero essere una cosa straordinaria e legata a condizioni particolari. Un soggetto non dovrebbe attendersi di essere salvato in caso di difficoltà, altrimenti si creano grosse problematiche di moral hazard.
- Ammesso che si dedichino i ricavi della tassa per salvataggi futuri, c’è la certezza che il Paese che “incassa” sia poi lo stesso che “spende”?
- La tassa dovrebbe essere applicata su tutte le transazioni finanziarie (compresi bonifici e pagamenti POS)? Se no, in base a cosa si “esonera” una specifica transazione, e come si garantisce che non ci siano abusi in questi esoneri?
- L’importo della tassa potenzialmente sarebbe un potente strumento di politica monetaria. Chi ha la responsabilità e la possibilità di fissarlo?
L’errore più grande però a mio parere è quello di come è stata proposta questa tassa, e cioè di fatto come un metodo per i Governi per “fare soldi”, e — neanche troppo velatamente — di “vendicarsi” contro il sempre antipatico mondo della finanza. Ma la questione non è quello di portare avanti vendette, e in realtà neppure fare soldi (le problematiche gestionali di cui sopra lo rendono difficile), ma rendere più efficiente e stabile il mondo finanziario.
Banche e Risparmio [http://www.banknoise.com]
Con quello che ha fatto Goldman Sachs anche in questi ultimi mesi, una tassa sarebbe il minimo provvedimento da prendere.
Guardacaso, han continuato a fare immensi utili con le famose (e taciute) transazioni lampo: un’autentica truffa, che nessuno ovviamente denuncia.