Da un po’ di tempo è in corso una polemica tra il Presidente del Consiglio Berlusconi e una parte del mondo dell’informazione, che viene accusato di “spargere pessimismo” e di alimentare così la crisi. In effetti va dato atto che le crisi economiche e finanziarie (e questa non fa eccezione) hanno una significativa componente psicologica, e in quest’ottica l'”invito all’ottimismo” di Berlusconi ha un certo senso, soprattutto partendo dalla considerazione che una grossa percentuale delle persone non è in grado di interpretare correttamente i dati che riceve da giornali e telegiornali, e quindi tende ad attribuire ad essi significati eccessivamente negativi (o eccessivamente positivi, in altri momenti dell’economica). In questa “lotta al pessimismo” rientrerebbe, secondo alcuni, anche una revisione anche del ruolo dell’ISTAT, che fornirebbe “troppi dati e poco chiari” — appunto perché manca la capacità di interpretarli da parte del pubblico, aggiungiamo noi.
Ecco che però allora sarebbe più efficace (anche in ottica di medio-lungo termine) se invece che togliere spazio ai dati negativi, si cercasse di intervenire sulla cultura economica e finanziaria degli italiani, in modo che si maturi una maggiore capacità di interpretare in modo autonomo i dati economici. Altrimenti è un po’ come cercare di curarsi la febbre nascondendo il termometro, in modo che non possa essere misurata. D’altra parte alla maggior parte della gente piace sentirsi dire quello che vuole sentirsi dire: un tema che avevamo evidenziato già parlando degli “economisti che non hanno previsto la crisi” (dove parlavamo di come si sia scelto di ascoltare solo coloro che facevano un certo tipo di previsioni).
Da un punto di vista più “oggettivo”, il problema è che, volendo fare i pessimisti, probabilmente in Italia non ci sono in realtà molte “medicine” disponibili, e quella di “nascondere il termometro” è una delle poche strade percorribili. Il problema italiano è dato dal peso dell’enorme debito pubblico, che toglie la possibilità di interventi significativi sull’economia. In altre parole, se già normalmente i conti dell’Italia erano traballanti, ci sono poche possibilità di avere risorse per grossi interventi straordinari sull’economia. E non è probabilmente un caso che l’Italia sia il Paese del G20 dove l’intervento di stimolo economico è stato più modesto, se confrontato con il PIL del 2008 (lo 0,3%), per un valore intorno ai 7 miliardi di dolllari, contro gli oltre 20 miliardi dell’intervento francese e gli oltre 130 miliardi in Germania.
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C’ e’ un’ eccessivo sbilanciamento tra la copertura giornalistica delle “brutte notizie” (crisi, licenziamenti, fallimenti) e quella delle “buone notizie (aziende che assumono, distretti che reggono, misure anti-crisi).
Questo influisce molto negativamente su una molteplicita’ di aspetti, sia psicologici che economici (es. propensione al consumo).
E in Italia non siamo assolutamente messi peggio di molte altre realta’ (Usa, Gran Bretagna, Germania) che fino a poco tempo fa erano elevate a modelli da seguire.