Economia e Finanza

Lettonia sempre più a rischio: titoli di stato senza acquirenti. Ripercussioni per l'Europa?

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Nei giorni scorsi, l’asta di vendita dei Titoli di Stato in Lettonia è finita prima di cominciare: non c’era neppure un compratore. Una situazione che rende sempre meno improbabile lo scenario di un default del Paese Baltico, che già da qualche mese attraversa una pesante crisi, e descrive in modo esemplare la “sfiducia” dei mercati. Una situazione che condurrà quasi certamente ad una pesante svalutazione della moneta (gli analisti si aspettano una svalutazione di almeno il 50% entro fine anno). Che però se da un lato significa diminuire il costo dei debiti in valuta locale, significa anche fare esplodere il costo di quelli in valuta estera, con tutte le problematiche facilmente intuibili. Insomma, una situazione tutt’altro che rosea, se il Premio Nobel Paul Krugman non esita a definire la Lettonia “l’Argentina d’Europa“.


Il timore di alcuni analisti è che la Lettonia possa scatenare un pericoloso, duplice, effetto domino: da un lato “psicologico”, dall’altro strettamente economico-finanziario.

  • Economico-finanziario perché ovviamente la Lettonia ha relazioni economiche con diversi paesi, e inevitabilmente le difficoltà del debitore si ripercuotono sul creditore. Nel caso della Lettonia, i paesi più direttamente coinvolti sono Lettonia ed Estonia, con i quali (come è facile intuire) le relazioni commerciali sono particolarmente strette, e la Svezia, che è particolarmente esposta finanziariamente nei confronti della Lettonia (infatti, ad esempio, dopo l’asta andata deserta le azioni della Swedbank sono crollate del 16%). Secondo alcune stime, questa esposizione verso i paesi Baltici potrebbe “costare” alla Svezia almeno due punti del PIL, per più di qualche trimestre.
  • Psicologico, in quanto può creare un precedente che vada ad aumentare le difficoltà per i paesi economicamente più deboli nel “piazzare” il proprio debito pubblico sul mercato, che vuol dire quindi nel migliore dei casi aumentarne i costi, con ciò che ne consegue sui conti pubblici. E a finire sulla graticola potrebbero essere alcuni paesi dell’Est Europeo, come Bulgaria, Ungheria e Romania.

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