La deflazione, la riduzione dei prezzi (ma soprattutto dei “valori”) è molto temuta in economia, perché oltre che incidere sui prezzi al consumo, svaluta il patrimonio. Gli immobili valgono meno, ad esempio. E con la svalutazione del patrimonio, si riduce anche il debito che si può contrarre (perché posso offrire meno garanzie): per il consumatore italiano medio questo costituisce un problema relativo, perché non è abituato (fortunatamente) a sfruttare in modo eccesivo il credito, ma per molte aziende può costituire un problema. Come lo è ancor di più per il consumatore americano medio, che proprio con il ricorso intensivo credito ha alimentato il suo elevatissimo livello di consumi.
Dal punto di vista del consumatore italiano, gli effetti importanti della deflazione sono probabilmente due:
- La deflazione scoraggia gli acquisti. Può sembrare strano che se i prezzi scendono si acquisti di meno, ma il meccanismo in realtà è molto semplice: se siete convinti che qualcosa domani lo pagherete di meno, oggi non lo comprate. Questo può però scatenare un circolo vizioso che può ridurre la produzione, aumentare la disoccupazione, ed indebolire ulteriormente la domanda.
- Chi sta pagando un mutuo, può trovarsi a dover rimborsare un capitale residuo maggiore del valore reale della casa. Per capirsi: supponiamo che abbiate acceso un mutuo di 25 anni da 150.000 Euro per comprare una casa, dopo 5 anni avrete un capitale residuo di circa 135.000 Euro (ricordate che sulle rate iniziali è maggiore il peso degli interessi che quello del capitale rimborsato). Se nel frattempo una casa identica a quella che avete acquistato scende di prezzo costa 120.000 Euro, state pagando la casa molto più di quel che vale. In linea teorica (da noi è un po’ difficile, ma in USA succede concretamente), per quanto scorretto, potrebbe essere conveniente fare “default” con il mutuo, lasciare che la banca si prenda la casa e comprarne un’altra a minor prezzo. Comportamenti che però ha come effetto collaterale quello di indebolire l’industria del credito e quella immobiliare.
Personalmente, di contro, non ritengo che invece sia da automaticamente considerare un danno la svalutazione degli investimenti (ad esempio del TFR, per andare molto sul pratico), perché se è vero che il capitale si riduce, è vero anche che si riduce il costo della vita. Anche la svalutazione degli immobili “non in corso di pagamento” è potenzialmente neutrale. Se, per esempio, ho una casa che vale il 10% in più di un’altra, è relativamente poco importante se tradotto in euro questo vuol dire 220.000 e 200.000 o 110.000 e 100.000. Dipende da che cosa posso fare di quei 20.000 o 10.000 euro di differenza: se ci posso acquistare le stesse cose (cioè se tutti i prezzi si dimezzano come il valore dell’immobile), la variazione è perfettamente neutrale.
Il problema reale della deflazione è che il fatto che solitamente (ma non ci sono così tante esperienze di deflazione) il patrimonio si svaluta più di quanto si riducano i prezzi al consumo. Ecco allora quello che è il vero problema della deflazione: dimenticando per un attimo i “numeri” dei prezzi, e ricordandosi che la moneta è solo un mezzo di scambio, un intermediario, allora la deflazione è in termini reali una inflazione, spesso anche molto elevata. Col mio patrimonio posso acquistare meno cose.
Ciononostante, nella situazione attuale, una deflazione è inevitabile. Questo soprattutto in relazione ai prezzi degli immobili, che continuano ad essere troppo alti. L’acquisto di una casa, ma anche il semplice affitto, è un impresa ai limiti del possibile per famiglie con reddito medio. Il che vuol dire che una riduzione dei prezzi è inevitabile, anche se questo potrebbe avere conseguenze soprattutto su chi ha da poco acquistato casa.
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