Anche l’OCSE conferma i dati che avevamo citato qualche settimana fa: i salari italiani sono (quasi) i più bassi d’Europa, solo in Portogallo la situazione per i lavoratori è più sfavorevole. Ma va detto che i dati OCSE non sono corretti rispetto al costo della vita, e quindi possiamo tranquillamente aggiungere che la posizione italiana è in realtà ancora peggiore di quello che evidenzia lo studio OCSE.
Purtroppo, non è così semplice alzarli: se ci si limita a “decidere” un aumento generalizzato degli stipendi, il risultato rischia di essere semplicemente un aumento dei costi per le imprese (private ma anche statali), con il risultato che si assisterebbe ad un aumento dei prezzi, un’inflazione che alla fine annullerebbe aumenterebbe il costo della vita e annullerebbe l’incremento degli stipendi.
L’unica strada che può dare reali risultati è la ricerca di un maggiore valore aggiunto del lavoro. Che non vuol dire semplicemente “lavorare di più“, e neppure “spendere meno“, ma puntare su innovazione: l’Italia è un paese per molti versi arretrato, come si può anche leggere tra le righe (ma neppure troppo) del Rapporto del Censis di cui abbiamo parlato un qualche tempo fa. Per capire meglio cosa vuol dire che l’Italia è un paese arretrato, basta pensare che i principali settori economici dell’Italia sono settori “tradizionali”, in cui ci si trova a competere con paesi come Cina ed India, e non certo settori hi-tech in cui operano paesi come gli USA, ma anche l’Inghilterra o la Germania.
Banche e Risparmio [http://www.banknoise.com]