“Non ho mai capito come viene fuori il prezzo delle azioni” mi diceva qualcuno. Bene, riprendiamo il discorso dai fondamentali, che avevamo accennato in precedenza, cercando di essere un po’ d’aiuto. Tra l’altro, qui parleremo di azioni, ma molti concetti sono applicabili anche ad altri strumenti finanziari.
Allora, in linea di principio è semplice: il prezzo di scambio di un’azione (che è un titolo rappresentativo di una quota della proprietà di una società) viene determinato attraverso un’asta che coinvolge chi è in possesso delle azioni e vuole venderle e chi invece vuole acquistarle. Ok, c’è qualche particolarità, ma il concetto di base è questo.
Quindi il prezzo dipende, fondamentalmente, da quanto sono disposti a pagare coloro che vogliono comprare le azioni.
- Quindi come è collegato il prezzo di oggi a quello di ieri, e magari a quello di domani? Semplice: tecnicamente non è collegato. Se non da un po’ di “buon senso”, cioé che se oggi per una cosa la gente è disposta a pagare 100, e non succede qualcosa nel frattempo, è probabile che anche domani la gente (o altra gente) sia disposta a pagare per la stessa cosa più o meno lo stesso prezzo. Ma da quel “più o meno”, e da quel “qualcosa che succede nel frattempo” nascono tutte le oscillazioni di borsa.
- E se nessuno vuole comprare le azioni che ho, quando le voglio vendere? Cosa succede? Premesso che è a dir poco improbabile che non ci sia nessuno che voglia comprare le azioni che ho (perché ci sono sempre, quantomeno, operatori finanziari che vogliono fare speculazione), è possibile però che siano pochi, in questo caso è verosimile che essendoci meno competizione l’asta raggiunga prezzi più bassi del “normale”(in termini più corretti si avrebbe un elevato spread denaro-lettera, ma qui lo scrivo solo per la cronaca, visto lo scopo del post). Questo è un concetto un po’ diverso dal classico “prezzo delle azioni che scende” (cioè l’asta raggiunge livelli più bassi dell’asta precedente, diciamo), e riguarda la liquidità del mercato: quindi come regola generale, è opportuno verificare la liquidità di quello che si sta comprando (in generale, con le azioni solitamente non ci sono problemi, che possono nascere soprattutto con strumenti finanziari “strani”).
Tutto questo si combina con la sitma del valore “corretto” delle azioni, di cui avevamo accennato in un post precedente. Il prezzo “ideale” infatti è dato dal valore attuale della rendita data da tutti i futuri dividendi (gli utili che vengono divisi tra gli azionisti) che sono legati all’azione. In altre parole, se offro una somma maggiore al valore attuale di cui sopra sto pagando l’azione troppo, se inferiore invece la pago troppo poco (e quindi probabilmente chi è in possesso dell’azione non sarà disposto a cedermela). Da un punto di vista operativo, questa considerazione è di ridotta utilità (non c’è alcuna certezza sul valore dei dividendi futuri, possiamo avere dei dubbi su quale tasso utilizzare per attualizzarne il valore, e addirittura si può discutere su quali formule matemaiche utilizzare), ma è secondo me è concettualmente importante per capire come mai il valore delle azioni è così reattivo agli eventi più disparati: materie prime che aumentano o diminuiscono di costo, tassi di disoccupazione o di inflazione, governi che cadono o cambiano, ecc. Infatti tutte questi fattori influiscono, anche se indirettamente, sugli utili che potrà fare l’azienda in futuro, quindi sui dividendi, e di conseguenza sul valore attuale di essi, cioè, secondo la definizione che abbiamo dato, sul valore delle azioni.
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Grazie mille! Ma quindi il capitale sociale dell’impresa non è legato al prezzo d’emissione?
Cioè lo è solo in fase di emissione?
Il mercato secondario dell’azione è totalmente distaccato dal capitale sociale dell’azienda? Ciò per farmi capire:
Se l’azienda X aumenta notevolmente il suo capitale sociale (per un maggiore reddito) allora aumenterà il valore della azione in modo automatico o aumenterà solo perchè gli azionisti percepiscono un valore maggiore della stessa?
Grazie!