Se vostro figlio, il vostro partner o qualcuno fra i colleghi dovesse dare segni di una particolare pigrizia, cosmica stanchezza e incapacità di concentrarsi, la colpa potrebbe essere di quelle bizzarre sigarette aromatizzate che di tanto in tanto l’avete sorpreso a fumare. Questo, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, potrebbe essere vittima di un rapporto troppo stretto e ossessivo con la tecnologia.
A mettere nero su bianco l’imprevedibile teoria non è il titolare di una catena di coffee shop olandesi né uno dei membri superstiti degli Wailers di Bob Marley. Citato anche da quotidiani del calibro di “The guardian”, si tratta del dottor Glenn Wilson, psichiatra del King’s College di Londra e fra i responsabili di uno studio ad hoc su un campione di 1.100 volontari commissionato – niente meno – da Hewlett Packard. La ricerca si è focalizzata sul rapporto con la comunicazione in tempo reale in ufficio – fra telefoni e sms, posta elettronica, messaggi istantanei – e ha restituito risultati devastanti.
Wilson non ha usato mezzi termini: il rapporto compulsivo che le cavie hanno sviluppato nei confronti dei tool citati avrebbe molti tratti in comune con la dipendenza dalle sostanze stupefacenti e in particolare dai derivati della canapa. Non solo:tra gli effetti collaterali dello sballo elettronico si conterebbero anche una spossatezza simile a quella causata da una notte in bianco e un calo da 10 punti (in media) del quoziente di intelligenza, più del doppio di quanto registrato presso i più intensivi aficionado del Thc.
Il tutto senza contare l’incidenza in negativo che l’ansia di rispondere al cellulare (o ai relativi messaggi) e di controllare la casella della “Posta in entrata” avrebbe sulle relazioni sociali.
Nonostante 9 intervistati su 10 pensino che sia molto maleducato interrompere pranzi e conversazioni per dedicarsi alle relazioni digitali (succede a un interpellato su 5), un terzo dei partecipanti all’inchiesta ritiene un tale comportamento “accettabile” e anzi “indice di diligenza ed efficienza”. Per nulla d’accordo il dottor Wilson: a suo dire questa sarebbe “la ricetta del pensiero confuso” e condurrebbe a un progressivo impoverimento delle prestazioni professionali.
Qualche mese fa, sul banco degli imputati erano finiti i personal computer: una ricerca effettuata su 100 mila studenti di 15 anni in 31 nazioni aveva svelato come le capacità letterarie e di calcolo di chi non possedeva un Pc fossero mediamente superiori a quelle degli alunni informatizzati.
http://www.mytech.it/news/articolo/idA028001062175.art