“L’Europa al bivio” è forse uno dei titoli più usati ed abusati in questi mesi, per parlare delle difficoltà della situazione europea. Eppure, descrive bene la questione: a seconda delle scelte che si fanno in questo momento, le strade che si aprono per il futuro sono ben distinte. Armando Carcaterra (Direttore Investimenti ANIMA), in collaborazione con Mario Noera (Docente di economia degli intermediari finanziari, Università Bocconi) ci parla di cosa sta succedendo in Europa, quali possono essere le possibili conseguenze di un’uscita della Grecia dall’euro, e perché conviene evitare il contagio.
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1. Cosa sta succedendo in Europa?
Prima dell’euro, i principali paesi dell’Unione Europea erano legati da un accordo di cambio: il Sistema Monetario Europeo. Ciascun paese aveva una propria valuta e una propria banca centrale. E lo SME imponeva alle valute bande di oscillazione molto strette, per limitare l’incertezza dei cambio ed agevolare l’integrazione economica tra i paesi europei. Nel 1992 lo SME andò in pezzi, ma l’Europa reagì repentinamente: nel 1993 fu firmato il Trattato di Maastricht e nel 2000 arrivò l’euro.
Oggi ci troviamo ad un bivio analogo emblematicamente raffigurato dall’Economist: da una parte una disintegrazione dell’eurozona, dall’altra una maggiore integrazione politica, fiscale e monetaria, cioè un superstato europeo. Lo stato di salute economica dell’Eurozona, presa come un’unica entità statuale, sarebbe già in perfetto equilibrio economico-finanziario: il rapporto tra debito e Pil aggregato sarebbe sostenibile, i conti con l’estero in pareggio e l’inflazione più bassa che altrove.
Il rischio percepito dai mercati in Europa deriva quindi dall’incapacità di gestire efficacemente gli squilibri in momenti di crisi. L’Eurozona non ha un unico governo dell’economia, nè un unico bilancio. Non esiste alcun meccanismo istituzionale che all’occorrenza garantisca la solvibilità dei paesi in difficoltà, nè è consentito alla Banca Centrale Europea di intervenire per aiutarli. Dopo tre anni di incertezze e dilazioni, la crisi della piccola Grecia ha però ormai sospinto i governi europei ad una scelta non più eludibile.
2. Quali le possibili conseguenze di un’uscita della Grecia dall’euro?
Se l’Unione Europea ed il Fondo Monetario decidessero di negare alla Grecia gli aiuti di cui ha bisogno l’insolvenza del debito greco sarebbe inevitabile e l’impatto sull’economia e sulle condizioni di vita della popolazione sarebbe insostenibile. A quel punto, l’abbandono dell’euro sarebbe l’unica via d’uscita possibile. Per pagare stipendi e pensioni, il governo greco dovrebbe infatti riappropriarsi della facoltà di stampare moneta. Il debito verrebbe ridenominato in dracme e la nuova dracma si svaluterebbe pesantemente (anche nell’ordine del 40%-50%).
La Grecia è un paese molto piccolo (circa il 2% del Pil dell’Eurozona) e qualche cinico potrebbe pensare che l’entità stimata delle perdite potrebbe essere sopportabile e che l’uscita della Grecia solleverebbe l’euro da un peso. Ma c’è un’insidia: nulla può garantire che il problema rimanga confinato alla Grecia.
3. Perché conviene evitare il contagio?
Se la Grecia (o un qualunque altro paese) fosse spinto fuori dall’euro il problema sarebbe la sostenibilità futura dell’Unione Monetaria. La mera possibilità che un solo paese possa uscire è destabilizzante di per sé: se i risparmiatori si convincessero che l’unico paese valutariamente sicuro è la Germania, perché mai dovrebbero mantenere i propri depositi in Spagna o in Italia, visto che anche Spagna o Italia potrebbero, prima o poi, uscire dalla moneta unica?
Tutti i governi dell’Eurozona sanno che nessuno di loro rimarrebbe immune dal contagio. Le loro banche subirebbero perdite ingenti dal deprezzamento dei titoli in portafoglio e le quotazioni azionarie crollerebbero, con effetti a catena. Se la fuga dai depositi si generalizzasse a paesi come Spagna o Italia, tutti i sistemi bancari europei verrebbero travolti, provocando ulteriori restrizioni del credito e costringendo i governi ad interventi di salvataggio colossali. Strozzate dalla carenza di credito, anche le economie più forti entrerebbero in recessione e i loro debiti pubblici aumenterebbero per effetto dei salvataggi bancari.
Il risultato finale di questo “effetto domino” sarebbe davvero paradossale: il rifiuto iniziale di aiutare la Grecia provocherebbe il peggioramento delle finanze pubbliche di tutto il resto d’Europa, generalizzerebbe la caduta dell’attività economica in tutti i paesi (Germania compresa) e farebbe impennare ovunque il rapporto debito/Pil.
Si fa molta fatica a credere che i governanti europei siano pronti ad affrontare un rischio di queste proporzioni. “Rilanciare in avanti” è oggi, a tutti gli effetti, l’opzione meno costosa per tutti.