Dopo il nuovo terremoto in Emilia, si è creato in rete un appello all’annullamento della parata del 2 giugno, “per destinare i soldi invece alle popolazioni colpite dal terremoto“. Un’idea che di per sé nasce con le migliori intenzioni, ma anche che (come purtroppo spesso accade) è affrontata con superficialità, e amplificata con spirito che qualcuno non esita a definire “da pecore”, senza ragionare sulla questione.
Infatti se si parla di “inopportunità” di festeggiare, perché “manca lo spirito di festa”, allora la discussione può avere anche in qualche modo senso, ma se si è convinti che annullare la parata del 2 giugno porti dei risparmi, si è totalmente fuori strada.
La questione è estremamente semplice: i costi si un evento del genere sono soprattutto costi di organizzazione: quindi sono soldi già spesi, a questo punto. Non è un caso che i più contrari all’annullamento della parata siano i romani, proprio perché si rendono conto di questo.
È vero che Forlani, dopo il terremoto del Friuli nel 1976 ha annullato la parata: ma l’annullamento è avvenuto a inizio maggio, quando cioè c’era la possibilità di un effettivo risparmio organizzativo, e non a due gironi dall’evento.
Forse è vero che la parata del 2 giugno, intesa come “festa”, arrivi nel momento sbagliato: ma sarebbe il caso che si facessero un esame di coscienza anche quanti si sono convinti di aiutare chi è stato colpito dal terremoto protestando contro la parata del 2 giugno. Ci sono metodi molto più concreti ed efficaci, per quanto costino certamente uno sforzo personale ben maggiore.
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Le pecore del 2 giugno
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