Come strada d’uscita dalla crisi per la Grecia (e non solo), c’è chi suggerisce una “strada Argentina”, con un default controllato che dovrebbe sostanzialmente permettere di risolvere il problema del debito (non pagandolo), e di rilanciare l’economia, come è avvenuto in Argentina, che ha visto negli ultimi anni l’economia registrare tassi di crescita record.
Ma le cose non sono così semplici. Innanzi tutto, prima della crescita del PIL c’è stata una sua forte e drammatica contrazione: un parte della crescita quindi va a recuperare la riduzione precedente, di fatto. Non un passaggio così indolore, insomma: a ottobre 2002, il 57,5% della popolazione argentina era sotto la soglia di povertà
Inoltre, il default ha un effetto collaterale non trascurabile, cioè quello di fare perdere la fiducia dai mercati, investitori e risparmiatori: chi investirebbe oggi i propri risparmi in bond argentini, dopo l’esperienza del 2001? L’Argentina infatti ha avviato una politica di pareggio di bilancio, e le emissioni di titoli di stato sono piuttosto rare e non molto amate dal mercato. Però su questo punto va riconosciuto che non è necessariamente un problema, dato che se i conti sono equilibrati e non ci sono debiti non c’è neppure la necessità di emettere bond.
Una differenza non trascurabile tra Grecia e Argentina sta sulle conseguenze della svalutazione della moneta: infatti la svalutazione monetaria favorisce le esportazioni, ma aumenta anche il costo dei beni importati. Mentre per l’Argentina l’export ha un peso decisivo sull’economia, per la Grecia la rilevanza è minore, e quindi l’aumento del costo dei beni importati non è compensato da benefici altrettanto significativi.
Per ultimo, va detto che le condizioni effettive dell’economia argentina sono in realtà molto meno chiare di quel che può sembrare. La questione infatti è che secondo molti l’economia reale sarebbe molto meno sana di quel che i dati ufficiali vorrebbero fare intendere. Ad esempio, il tasso di inflazione riportato dai dati ufficiali sarebbe a dir poco sottovalutato: ed infatti viene sostanzialmente ignorato ad esempio nelle trattative sindacali. L’inflazione effettiva, secondo stime di soggetti terzi, sarebbe intorno al 25%. La questione del tasso effettivo di inflazione non è banale, non solo per l’impatto sui prezzi, ma anche perché costringerebbe anche a rivedere al ribasso le stime sulla crescita (perché le stime ufficiali includerebbero dunque anche inflazione, oltre che la crescita reale).
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