Si parla spesso di meritocrazia, e di come la sua carenza vada spesso a penalizzare non solo i giovani che non riescono ad emergere, ma anche l’economia nel suo complesso dato che non essendo “i migliori” ad emergere, si perde in competitività.
Uno degli ambiti in cui spesso l’argomento meritocrazia viene sollevato è il mondo dell’Università, dove più di qualche cattedra sarebbe in mano a “baroni” anziché a figure meritevoli e preparate.Quando si parla di meritocrazia, però, è fondamentale definire il criterio in base al quale si misura il merito, dato che è basilare per poi capire chi merita e chi no.
Una recente ricerca offre spunti di riflessione interessanti. La ricerca riguarda le le valutazioni che i docenti universitari ricevono dai loro studenti. Infatti, in molte Università italiane e straniere si usa un sistema di questionari anonimi in cui gli studenti valutano i loro professori.
È quasi superfluo sottolineare come la qualità del docente sia determinante per quella che sarà la preparazione degli studenti. Non solo all’interno della loro carriere universitaria, ma anche all’interno della “vita lavorativa”: la ricerca mostra infatti come avere sostenuto certi esami con alcuni professori anziché altri poi si possa riflettere anche in un divario salariale (misurato in media pari all’1,4% della retribuzione). Questo perché alcuni professori riescono a trasmettere con maggiore efficacia conoscenze che hanno valore in ambito lavorativo.
Non solo, un bravo docente trasmette anche nozioni utili per gli esami successivi, che quindi saranno affrontati dagli studenti con maggiore facilità e quindi avranno voti mediamente più alti di chi magari ha superato il medesimo esame ma senza comprendere altrettanto bene l’argomento.
Che tipo di relazione hanno le valutazioni degli studenti rispetto a questo tipo di indicatori, in un certo senso “oggettivi”? Non solo la correlazione è bassa, ma addirittura si registra una correlazione negativa: i docenti che sembrano essere più efficaci sono anche quelli che tendono ad avere giudizi più negativi. La spiegazione è facilmente intuibile, solo che mancava una conferma di quella che è una sensazione comune: gli studenti infatti tenderebbero a dare una valutazione più elevata ai professori ai cui esami prendono voti più alti, e nei quali incontrano minori difficoltà nello studio. Docenti che invece richiedono un impegno maggiore agli studenti invece vengono penalizzati, a prescindere dal fatto che ciò consenta agli studenti di acquisire conoscenze utili nel prosieguo degli studi e nel mondo del lavoro.
Si tratta di un fattore interessante, perché illustra un comportamento — quello degli studenti — che a nostro parere è molto comune, e cioè quella di privilegiare il vantaggio immediato rispetto a benefici di medio-lungo periodo, spesso anche per una certa incapacità a valutare la dimensione di tali benefici.
La ricerca suggerisce anche alcuni metodi per migliorare la qualità delle docenze:
[…] limitare gli esami a risposta chiusa disincentiverebbe lo svolgimento di lezioni finalizzate al mero superamento dei corsi. Se i voti d’esame fossero assegnati da docenti diversi da quelli che tengono le lezioni si scoraggerebbero taciti scambi tra i voti degli insegnanti e le valutazioni degli studenti. Sarebbero utili, inoltre, misurazioni della performance degli insegnanti basate sulla valutazione dei colleghi (peer review), in linea con l’approccio utilizzato nel campo della ricerca scientifica.
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