Nei giorni scorsi il Direttore Centrale per la Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia, Stefano Mieli è intervenuto al convegno dell’Associazione Bancaria Italiana dedicato a Basilea 3. Ci sembra interessante riprendere qualche passaggio dell’intervento che, anche se tratta temi che abbiamo già discusso più volte, è utile per sottolineare alcuni temi interessanti, anche per riassumere quelli che sono le questioni aperte.
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La revisione da parte del Comitato di Basilea del vigente regime di adeguatezza patrimoniale delle banche rappresenta l’intervento di maggiore portata. Le nuove regole (Basilea 3), che sono state oggetto di un’ampia consultazione con l’industria bancaria e affiancate da articolate analisi d’impatto, sono state pubblicate in via definitiva lo scorso dicembre. Esse toccano tutte le principali variabili che governano l’operatività bancaria: i rischi, il capitale, la leva finanziaria, l’equilibrio di bilancio tra attivo e passivo.
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La definizione delle regole di Basilea 3 non esaurisce gli interventi regolamentari in risposta alla crisi. Sono diversi i temi ancora aperti su scala globale; anche su di essi sarà essenziale il confronto con l’industria bancaria.
Innanzitutto, il trattamento prudenziale dei rischi posti dalle istituzioni sistemicamente rilevanti (systemically important financial institutions, SIFI). Questi operatori – spesso cross-border e di dimensioni molto elevate rispetto alle capacità di intervento dei governi dei paesi d’origine – hanno contribuito a rendere più gravi gli effetti della crisi. Il FSB si è impegnato a presentare al G20 del prossimo novembre raccomandazioni. L’obiettivo di fondo è di definire un framework istituzionale e regolamentare in cui sia rafforzata la capacità di tali intermediari di assorbire le perdite. Tema non meno controverso è quello della gestione delle crisi di tali operatori, considerato il rilevante impatto sulle finanze pubbliche nazionali. I principi e le raccomandazioni pubblicate dal FSB lo scorso novembre richiedono che ogni paese si doti di un quadro istituzionale che consenta la liquidazione ordinata di un intermediario sistemico.
I regolatori internazionali stanno lavorando intensamente anche sul tema del cosiddetto “sistema bancario ombra” (shadow banking). Il G20 ha sottolineato come, in particolare in alcune giurisdizioni, attività e intermediari non bancari con possibile rilevanza sistemica avessero potuto svilupparsi in zone non regolamentate del sistema finanziario. Lo shadow banking ha favorito un aumento eccessivo della leva finanziaria e di rischi che si sono poi riversati anche su intermediari vigilati, richiedendo l’attivazione della safety net pubblica. Un grado inadeguato di conoscenza, valutazione e contenimento dei rischi posti da tali intermediari vanificherebbe gli interventi di riforma realizzati sugli altri tasselli del sistema finanziario, oltre che determinare un piano di gioco non livellato e favorire arbitraggi regolamentari. Da sempre, nelle fasi – come quella attuale – in cui le regole sulle banche tendono a divenire più stringenti, risultano maggiori gli incentivi a spostare i rischi su componenti meno regolamentate del sistema finanziario. Un attento controllo di tutti i soggetti che possono generare rischi di natura sistemica diventa dunque cruciale.
Si stanno compiendo significativi progressi anche in tema di derivati OTC, la cui riforma è ispirata ai principi-cardine della trasparenza e della riduzione del rischio sistemico: standardizzazione dei contratti, compensazione centralizzata, più severi requisiti di capitale e obbligo di raccolta delle informazioni presso i trade repositories sono tra gli elementi più significativi delle iniziative in corso. Sarà molto importante garantire anche un adeguato grado di controllo sugli operatori presso i quali sarà centralizzata l’operatività in derivati, considerato il ruolo centrale che essi sono destinati a ricoprire nel sistema finanziario internazionale. Rimane, sullo sfondo, la questione di come conciliare regolamentazione e innovazione finanziaria.
Su altre questioni, pure rilevanti, si sta lavorando non meno intensamente. Ne vorrei citare solo una, che continuo a ritenere cruciale per una corretta applicazione del più ampio framework regolamentare: l’interrelazione tra regole prudenziali e principi contabili. L’esperienza della crisi ha mostrato la rilevanza dell’impatto che questi ultimi possono avere sulla stabilità sistemica. Le autorità di regolamentazione finanziaria stanno compiendo gli sforzi necessari per favorire la convergenza tra i principi contabili europei (IAS/IFRS) e quelli statunitensi (U.S. GAAP); l’ambito di applicazione del fair value e le modalità di determinazione degli accantonamenti a fronte del rischio di credito sono tra i principali temi all’attenzione. È una sfida tanto ambiziosa quanto delicata, da cui dipende la possibilità di conseguire pienamente i benefici attesi dalla riforma prudenziale.
A valle di tutto, rimane cruciale la cooperazione tra autorità, per far sì che sia mantenuto un “campo di gioco” realmente livellato. Tutti devono fare la propria parte. Le autorità devono assicurare un recepimento fedele dei principi internazionali. Le banche, come ha ricordato il Governatore Draghi lo scorso 31 maggio, “non possono chiedere regole comuni per assicurare un terreno uniforme di gioco a livello internazionale e, al contempo, cercare vantaggi competitivi tramite applicazioni meno rigide a livello nazionale”.
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Le analisi d’impatto condotte dalle autorità internazionali (tra le quali il Quantitative Impact Study, QIS) hanno mostrato che gli effetti, in termini di fabbisogno di capitale e di liquidità, non saranno trascurabili ma che i benefici attesi derivanti da una maggiore stabilità del sistema e, dunque, da una minore probabilità di crisi finanziarie potrebbero superare in misura rilevante i costi di
adeguamento. Quanto all’impatto sui diversi modelli di business, le evidenze sinora raccolte indicano che – a fronte di un effetto generale derivante dai più severi criteri di computabilità degli strumenti di capitale – l’inasprimento delle attività di rischio riguarderebbe soprattutto le banche operanti in misura significativa nel comparto dei derivati e della finanza innovativa.
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Nel complesso, il percorso sinora tracciato dalla riforma è molto chiaro. È fondamentale che le banche italiane proseguano, anche attraverso il confronto con la Vigilanza, nell’analisi della propria situazione patrimoniale e di liquidità, così da definire per tempo il sentiero di avvicinamento ai nuovi standard prudenziali.
Rimane aperta la sfida che il nuovo contesto regolamentare pone alla redditività bancaria.
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