Un indicatore interessante è il Misery Index (“Indice di Miseria”), che misura lo stato di difficoltà economica di una nazione. Si tratta di un indicatore molto semplice, dato che è calcolato sommando il tasso di inflazione e il tasso di disoccupazione, sulla base dell’idea che è soprattutto l’effetto combinato dei due che causa i maggiori problemi. In effetti, secondo alcune ricerche il Misery Index è correlato con gli indicatori sui tassi di criminalità, più che la disoccupazione da sola.
Un ricercatore di Moody’s ha rivisto la definizione, in modo da applicarla a livello macroeconomico e al sostegno dell’economia. In pratica, anziché utilizzare il tasso di inflazione, il suo calcolo utilizza il rapporto deficit/PIL (sul sito del New York Times potete trovare il grafico per alcuni paesi, tra cui anche l’Italia). La logica del calcolo è interessante: un elevato tasso di disoccupazione richiede un forte intervento a sostegno dell’economia, ma un elevato defici rende difficile aumentare la spesa. In altre parole, valori elevati del Misery Index evidenziano che il Paese ha bisogno di uno stimolo economico e fiscale, ma non è in grado di sostenerne i costi.
E’ interessante vedere come la crisi economica abbia significativamente “scombinato” le posizioni dei vari Paesi: ad esempio, nel 1995 l’Italia era uno dei paesi con un Indice di Miseria più elevato, così come nel 2000 e nel 2005 era comunque tra i paesi più in difficoltà. Le proiezioni per il 2010 sembrano invece dare l’Italia come uno dei paesi in condizioni migliori, con solo la Repubblica Ceca che tra i paesi del campione può vantare un valore stimato più basso. Ovviamanete, la ragione non è tanto in un miglioramento delle condizioni dell’Italia, quanto di un peggioramento di quelle degli altri. Si tratta però di una potenziale opportunità per il nostro Paese, se ci fosse la capacità di sfruttarla.
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