I dati sull’andamento della produzione nell’ultimo trimestre del 2008 si prestano ad alcune letture interessanti. Infatti, la produzione industriale in Italia si è notevolmente contratta, circa un -6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E a gennaio sembra ancora peggio, almeno secondo i primi dati di Confindustria, che indicherebbero una -11,8% rispetto a gennaio 2008.
Viene da domandarsi fino a che punto questo risultato sia da imputarsi alla crisi, e quanto al timore della crisi. In altre parole, c’è chi avanza il sospetto che questi risultati siano stati in parte generati da un meccanismo del tipo “aspettiamo per vedere cosa succede“, tagliando insomma la produzione nel timore di rimanere con merce invenduta. Un atteggiamento che si traduce però inevitabilmente anche in una minore necessità di manodopera — tradotto, cassa integrazione e licenziamenti.
La riflessione nasce dal confronto con gli USA, dove il PIL è diminuito meno delle attese, ma grazie ad un ruolo significativo delle rimanenze. In pratica, le imprese USA hanno prodotto “troppo” (sull’argomento torneremo, perché si presta a diverse riflessioni sul quadro economico), in pratica, viene da pensare, per aver sottovalutato l’entità della crisi. Ecco che allora nasce il pensiero che, magari, le aziende italiane hanno fatto esattamente l’opposto.
Certamente, a motivare concretamente il risultato negativo c’è il fatto che molte aziende italiane lavorano come “contoterzisti”, per cui risentono in modo per certi versi amplificato dell’andamento negativo, dato che hanno poco “controllo” del mercato, e quando i pochi clienti principali tagliano gli ordini, non hanno motivo di produrre “per il magazzino”.
In ogni caso, si tratta di una riflessione interessante: per quel che vale una statistica tra le mie conoscenze, ho sentito tutti lamentarsi della crisi, ma meno che ne stanno vivendo sulla propria pelle i drammatici effetti.
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