Parlavo qualche giorno fa con un conoscente che lavora negli Stati Uniti, e siamo finiti a parlare del diverso approccio delle banche italiane ed americane nel concedere crediti e prestiti. Una delle critiche che spesso si fanno alle banche italiane è che “ti prestano i soldi soltanto se dimostri di non averne bisogno“.
In USA invece l’accesso al credito è molto più semplice, (anche se alla fine è sfuggito di mano, portando agli eccessi di rischi e alle conseguenze che sono diventate evidenti negli ultimi mesi).
In realtà (tralasciando per il momento gli aspetto che non hanno funzionato), nel caso dei crediti alle imprese, la differenza di approccio nei due “stili” di concessione del credito sta nel diverso peso che viene dato al documento del business plan. Il business plan è il documento che riassume quello che potremmo definire il “progetto di business“, cioè come l’impresa (che sta nascendo, si sta ristrutturando o sta lanciando un nuovo prodotto/servizio) si aspetta di guadagnare: il posizionamento del prodotto, la domanda di mercato, flussi di cassa prevedibili, ecc.
La logica è più che corretta, se io chiedo un credito, in pratica chiedo di spostare il “consumo” della mia “ricchezza” dal futuro al presente. Quindi, in effetti, perché questo spostamento sia possibile cono successo le alternative sono solo due, o io già adesso ho “ricchezza” sufficiente per il consumo che desidero (approccio “italiano”, dimostro che sono in grado comunque di rimborsare il prestito a prescindere da cosa succederà nel futuro), oppure sono in grado di dimostrare che questa ricchezza la creerò nel futuro (approccio USA “non distorto”).
Anche in Italia molte banche richiedono un business plan agli aspiranti piccoli imprenditori che chiedono un prestito per la loro impresa. Ma in Italia spesso questo documento viene visto come una pura e semplice formalità burocratica, e ovviamente se le varie analisi che il business plan richiede non sono fatte in modo ponderato, il documento perde completamente di significato. Non mancano neppure casi in cui i numeri del business plan vengono “aggiustati” per venire incontro alle aspettative della banca, perdendo di vista il fatto che il business plan dovrebbe essere in primo luogo uno strumento di riflessione per l’imprenditore: ad esempio, se dall’analisi di mercato e dalle ipotesi di vendite vengono fuori numeri non soddisfacenti, è totalmente inutile (nonché controproducente) adattarli per fare apparire risultati positivi, ma si dovrebbe chiedersi il perché di questi “numeri”, e correggere eventuali errori nel modello di business prima che sia troppo tardi. Chiaramente, questa approssimazione nella redazione del business plan non incentiva le banche a prenderlo in grande considerazione per la decisione di concessione del credito, così come questa scarsa considerazione non contribuisce a spingere gli imprenditori a redarlo in modo attento e curato.
In USA, invece la qualità dell’idea viene premiata molto di più. Ovviamente questo approccio nei prestiti da parte delle banche americane non è dettato da spirito di carità o volontà di supportare le imprese nascenti, ma dal fatto che in questo modo si possono fare molti più soldi: dà la possibilità entrare alla pari dei soci in un business valido dà indubbiamente un ritorno economico molto maggiore che una semplice percentuale su una cifra prestata. Ovviamente perché tutto questo possa aver successo bisogna aver le competenze per capire se un’idea è buona o meno, cosa tutt’altro che banale. Ma questo approccio è così forte che qualcuno arriva a dire che (se l’idea è valida, ovviamente) il fatto che un imprenditore abbia alle spalle un’esperienza di fallimento, può anche essere valutata positivamente nel curriculum imprenditoriale, perché può aiutare a non ripetere gli stessi errori. E’ interessante notare che questa categoria di prestiti “basati sulle idee” non ha avuto grossi problemi, che invece sono venuti da categorie “solide” come i mutui e i prestiti garantiti (la spiegazione è probabilmente anche in un maggior screening delle “idee” rispetto a quello degli “asset”).
Un aspetto interessante è che questo approccio di “attenzione alle idee” prestiti denota una scissione impresa-imprenditore. Proprio il contrario di quello che avviene in Italia, in cui invece impresa ed imprenditore vengono confusi: e infatti quando si parla di “imprese che vanno bene” in Italia di solito si parla di aziende in cui il proprietario fa soldi, anziché di imprese che hanno un business solido e buone prospettive per il futuro: due concetti che non è detto siano sinonimi.
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