Probabilmente avrete già letto del problema delle quote rosa per le aziende Norvegesi. In pratica, una legge del 2003 prevede che almeno il 40% dei posti nei consigli d’amministrazione delle società sia riservato alle dirigenti donne, entro il limite tassativo del 31 dicembre 2007. Ma molte aziende (circa un quarto del totale) non ce l’hanno fatta a rispettare il requisito, e ora rischiano la chiusura.
Facciamo subito una premessa: le economie e le società Norvegese ed Italiana non sono confrontabili. Tutta la Norvegia ha 4.700.000 abitanti, qualche decina di migliaia in meno del Veneto, o se volete la metà della Lombardia, e in tutta la Norvegia le società sono 487 (di cui 185 quotate in borsa).
Detto questo, la mia opinione è che il concetto di “quote obbligatorie” è sempre e comunque sbagliato: se si vuole promuove la partecipazione delle donne ai consigli di amministrazione, si possono mettere a punto meccanismi di incentivazione diversi (ad esempio, agevolazioni fiscali). Anche perché, la maggior parte delle aziende dove non è stata raggiunta la quota appartengono a settori (finanze, informatica, estrazione del petrolio e del gas) in cui la percentuali di lavoratori donne sono sotto la media.
Per concludere: sicuramente è sbagliato che una persona in gamba e con capacità abbia gli orizzonti limitati per la “colpa” di essere donna. Ma non è sbagliato che una persona venga messa in un consiglio di amministrazione solo perché è una donna? Non è comunque questa una forma di discriminazione, e soprattutto una forma di mancanza di rispetto per le donne? E se poi si applicasse il principio anche a città di nascita, o colore degli occhi? Si avrebbero delle imprese che avrebbero sicuramente un “campionario” completo della popolazione, ma non è detto che questo rispecchi il “merito”.
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