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Il blocco dei camionisti: un esempio degli equivoci italiani

Vado un po’ off-topic rispetto ai “soliti” argomenti economico-finanziari del blog per una piccola riflessione sullo sciopero degli autotrasportatori. Devo innanzi tutto ammettere di essere in quell’ampia fetta di italiani che non conoscono esattamente le richieste dei camionisti, ma hanno solo qualche idea sulle motivazioni generali: già questo dovrebbe far riflettere, perché se blocchi un Paese e la gente non ha neppure capito esattamente perché, hai sbagliato qualcosa, e di grosso.


L’aspetto “interessante” di questa protesta è che un esempio lampante di come in Italia sia ormai sempre più frainteso il concetto di democrazia, che da “governo del popolo” sembra essere interpretato come “diritto di veto da parte di chiunque su qualsiasi cosa“: e così è accettato qualunque tipo di comportamento da qualunque gruppo di persone che si autodefinisca un’associazione o un comitato, molte volte aizzate da personaggi con interessi politici che spesso soffiano sul fuoco (non conosco nei dettagli il caso specifico e quindi considero una coincidenza che il rappresentante dei camionisti, Paolo Uggè, sia parlamentare di Forza Italia).

L’altro aspetto che rende la protesta dei camionisti così esemplare della situazione italiana è che, di fondo, il problema è che i padroncini – le micro-imprese tanto osannate per la loro flessibilità- non riescono a competere con le grosse aziende che stanno entrando nel mercato italiano dei trasporti. L’istinto naturale è quello di provare simpatia e compassione per il piccolo minacciato dal grande, ma non bisogna dimenticare che il piccolo non riesca a produrre (servizi, in questo caso) in modo efficace ed efficiente, non potendo sfruttare economie di scala e di “scope“, trovandosi così a sostenere costi eccessivi, rispetto ai prezzi di mercato. E nel caso specifico, l’inefficienza si traduce nel fatto che sembrerebbe in Italia il 40% dei camion viaggino vuoti (dato che non sono in grado di programmare un carico nel luogo della consegna), con le immaginabili conseguenze non solo sui costi (che poi si riflettono sulle tariffe e quindi sui prezzi al destinatario dei beni trasportati), ma anche sul traffico, e quindi sull’inquinamento e sulla sicurezza stradale.

Insomma, sicuramente la situazione attuale del settore dei trasporti non è sostenibile e serve un riordino del settore stesso, ma sicuramente un tale riordino non può semplicemente mirare a mantenere il “mucillaginoso” status quo (parafrasando l’espressione del Censis) attraverso provvedimenti finanziari-tributari che “drogano” il mercato, ma piuttosto a rinnovare in modo sostanziale il settore (magari portando le merci il più possibile su rotaia).

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